Il caso - diventato subito una valanga mediale - dell’alunno disabile che secondo il racconto sarebbe stato messo col banco “al muro” da una maestra della scuola elementare Montessori di Crotone, apre ad una valutazione molto seria sulla capacità di discernimento oggigiorno letteralmente soggiogata ad una rabbia sociale che trova il suo sfogo libero e gratuito sui social network.
di Vincenzo Ruggiero
Un caso, questo, che come testata abbiamo deciso convintamente di non trattare non tanto per la delicatezza della vicenda, ma poiché, dalle informazioni che abbiamo recepito direttamente sul campo, molto del fatto narrato ci ha lasciati perplessi, ponendoci dubbi e costringendoci ad un atto di quasi “auto-censura” in attesa che ne fossero più chiari i contorni.
È un evento, infatti, che ci ha interrogato, a noi operatori dell’informazione, operai della notizia, sull’utilità anch’essa sociale del nostro mestiere che ci impone - non tanto per criteri deontologici quanto per umana e perfettibile saggezza, e soprattutto in un’epoca in cui le verità potrebbero esser anche annientate dal rischio di costruzione di cosiddette fake-news, molto più semplicemente di possibili “bufale” - di vagliare ancor più approfonditamente e puntigliosamente le fonti da cui apprendiamo fatti e circostanze.
A maggior ragione, poi, se si rischia di gettare nel calderone bollente vicende di minori, per lo più portatori d’handicap e facilmente identificabili, o di innalzare alla gogna professionisti della nobile arte dell’insegnamento, così sostituendoci (tutti) a giudici ma senza toga, schiavi della foga.
C’hanno insegnato - a proposito di deontologia - quanto sia delicato e accidentato il racconto di fatti che riguardino bimbi, spesso usati, loro malgrado, ed inconsciamente, anche da noi giornalisti, per soddisfare un coito di sensazionalismo finalizzato alla soddisfazione di un bisogno; come quello delle masse di identificare e sconfiggere mostri presunti e paure latenti.
In quest’ansiogena ricerca dell’eclatante, in questa moderna necessità di comunicare e presto quanto più possibile in un contesto in cui la redistribuzione della comunicazione è invece ristretta - e lo si sa bene! - nell’angusto ambito online del dileggio e della delegittimazione, non ci si rende più conto che i mezzi di informazione stiano assumendo sempre più la configurazione di semplici amplificatori di tensioni sociali ormai fuori controllo, alimentate da una crisi strutturale delle identità che deprime ruoli, funzioni, esperienze e professionalità, relegandoli all’ufficio di comprimari dell’opinione pubblica: di quella più brutale e incolta.
Un ruolo cardine nella vicenda Montessori, però, sia chiaro che non va ascritto solo ed esclusivamente ai media, sempre additati come rei di confezionare notizie troppo spesso indesiderate, anche se verificate.
Un’assunzione di responsabilità abbinata ad un principio di sintesi e analisi dell’accaduto, di preventivo approfondimento dei fatti e di attenta valutazione delle conseguenze, avrebbe dovuto attribuirsi anche una figura per principio super partes e di “equilibrio”, come quella del Garante dell’infanzia.
Che, invece, ha preferito repentinamente dare in pasto una storia sottile all’opinione pubblica, sfruttando un mezzo mediale come Facebook che da professionista maturo e navigato non poteva non sapere quanto fosse superficiale, impreciso e pregiudizievole per una corretta interpretazione dell’accaduto; invece di affidarsi a canali informativi in cui professionisti del comunicare sappiano e debbano utilizzare accorgimenti, regole e semantiche di linguaggio che tutelino prima di tutto l’equilibrio di un minore e poi la presunta verità dei fatti.
Non intendiamo in tal senso difendere alcuno: siano essi maestre, genitori, istituzioni o operatori dell’informazione. Ma una lettera arrivataci da un gruppo di mamme e papà i cui figli frequentano la stessa classe del bambino ipoteticamente “bistrattato”, ci induce ancor più ad alimentare le nostre perplessità sulla vicenda.
Genitori che, penna in mano, hanno inteso difendere le educatrici della Montessori sottolineandone una lunga conoscenza personale, il rispetto per il loro sistema didattico, in particolare l’asserita adorazione dei propri figli per le stesse docenti che condurrebbe i loro bimbi a scuola sereni e altrettanto serenamente a rincasare.
Affermazioni che, converrete, stridono con il fugace lancio della notizia che inevitabilmente ha fatto prima il giro del web e poi dei media nazionali.
Non è però questo il punto. Il punto è che la vicenda rappresenti l’ennesimo esempio del come lasciare a briglia sciolte la rabbia sociale di cui accennavamo, ovvero liberandola, anzi, alimentandone il conato che poi si redistribuisce viralmente, contribuisca ancor più ad abbassare il valore culturale di una comunità già a serio rischio imbarbarimento.
Ma, soprattutto, mette in dubbio - a prescindere - il rispetto per il concetto di autorità costituita, qualsiasi essa sia, e getta una brutta ombra sull’istituzione scolastica che in qualsiasi Paese civile è l’unica che contribuisce in modo fondamentale alla crescita e allo sviluppo di generazioni improntate ai valori dell’educazione e senso civico: valori a cui le precedenti generazioni sembrano aver abiurato. Istituzioni comprese.