Quando la casa brucia, e come divampa, meglio scappare avrà detto tra se e se stessa la senatrice Margherita Corrado, valente aruspice dei venti che scuotono le banderuole della politica, osservando attenta e guardinga quanto stava accadendo tra le stanze romane in cui è comodamente finito quel suo occasionale e fugace vecchio amore di Pisa, che rispondeva al rinnegato flirt con il Movimento Cinque Stelle dei vari Voce, Sorgiovanni, Frustace, Chimenti, Adamo, Colacino, Barbuto, Correggia, Corsini, ecc. ecc, nato non per caso nella parrocchietta sconsacrata degli sciamberga di Santa Veneranda in Berlingieri a Crotone.
di Agesilao Milano
Abbandonato il sodalizio grillino a cui la Corrado si era aggregata per cooptazione “nicolamorrista”, la ex pentastellata, di professione disoccupata di lunga durata in viaggio verso i cinquant’anni, perennemente in lite con tre quarti … e una gassosa delle Sopraintendenze ai Beni Culturali e archeologici della Calabria intera; con il fiuto carrieristico che sempre ha contraddistinto il suo stile politico, ha deciso di dedicarsi interamente, “full immersion” alla dolce vita romana, diciamolo pure senza mai salire su un pullman Romano ma iscritta fin da piccola al Transatlantico di Montecitorio e saloni (Margherita) di Palazzo Madama, con un sentimento tanto limpido e pulito da farci riandare con il pensiero a quasi tutte le straordinarie pellicole con sfondo trasteverino di Federico Fellini.
Tanto è surreale la notizia che la Corrado ambisca a divenire niente poco di meno che sindaca di Roma (QUI), magari sognando di sostituire in Campidoglio la sua ex collega di salve so’ Virginia Raggi der Movimento, a tal punto da lasciarci liberatoriamente divagare, tra un film e l’altro del grande cineasta romagnolo, fino a sovrapporre il viso della ex pentastellata grillina pitagorica a quello in cui Alberto Sordi, ne “I Vitelloni”, issato su una macchina in corsa dalla periferia adriatica verso la capitale, schernisce i contadini sempliciotti e populisti chiamandoli “lavoratoriiii”, e accompagnandoli con una perniciosa pernacchia.
Che poi le facce di quei poveri servi della gleba, che avevano osato le lotte per le terre e il riscatto dalla mezzadria latifondista, possano essere quelle del gagliardo Movimento Cinquestelle crotonese, lo stesso che si è sfaldato come un tonno stonato davanti a un semplice grissino con formaggio pecorino offerto loro dal tanto odiato potere della partitocrazia e della politica, lasciamo a voi immaginare chi volete con facile tocco del Photoshop.
Sappiano, comunque, i derelitti soggetti, ancora una volta beffati dalla repentina scalata al successo di questa arrampicatrice fuoriclasse in veste archeologica calabrese, che gli obiettivi della Corrado sono sempre e per principio altissimi, purissimi, coltissimi, comunque in linea con quelli del suo leonardesco pigmalione filosofico, il professor Nicolino Morra al pesto di Rende e Camogli, con cui pare stiano progettando di reintrodurre il pitagorismo a Roma, quale arma più efficace per combattere la ’ndrangheta nella Capitale e radere al suolo tutti gli appartamenti residui dei Casamonica, compresi i lidi, le balere e le discoteche della Costa dei Cedri, in provincia di Cosenza.
Sui numeri, ovviamente quelli elettorali, che verranno dalle urne, a suo tempo si vedrà. C'è da scommettere che la Corrado ne farà oltre che un “test” anche un testo scientifico sui sarcofagi neolitici della politica romanesca.
Per il momento stupiamoci ancora se, come pare, nel corso di una lunga intervista concessa sotto la novella Colonna Traiana, ai microfoni di un grande network televisivo americano, ispirata come fosse la reincarnazione di Teano accanto a Numa Pompilio, abbia improvvisamente dimenticato le sterpaglie di Capocolonna, la discarica di Ponticelli, la fosforite di Nembo Kid Pagano per cui ha fatto chiudere il Castello di Carlo V, le denunce in Procura, le interpellanze parlamentari e i ricorsi al Tar per abrogare, reprimere e cancellare il Campionato di Calcio di Serie A nel piccolo campetto dell'Ezio Scida, annunciando trionfante come una Venere di Botticelli, in totale devozione alla causa magnogreca, un nuovo e suggestivo progetto che albergava da tempo nella sua immensa sapienza curriculare: aprire al più presto sul Gianicolo un tempio sacro in onore di Hera Lacinia che tanta fortuna gli arrecò in carriera.
Dopo quello di Giano per i romani de’ Roma sarebbe già una cosa, come dire... “fusse che fusse la vorta bbona...”