di Vito Barresi
25 aprile 2014, 69° anniversario della lotta di liberazione nazionale dal fascismo. Dal mito della Resistenza alla Resistenza senza mito adesso c'è anche un modo più essenziale e antiretorico per raccontare sul filo logico della memoria quei giorni tragici in cui fischiava il vento e urlava la bufera.
Con lo sguardo del cineasta che andava già oltre quello del soldato e del combattente ideologico lo fa un giovane novantenne bergamasco, Giulio Questi, nel suo ultimo libro Uomini e comandanti, disponibile in Einaudi Supercoralli.
Ricordi in forma di racconti così ben fotografati, nitidamente scattati e stampati in carta, realizzati aprendo la porta della camera oscura dove per troppo tempo è rimasta chiusa una rimossa memoria nazionale, rivista e riproposta al pubblico “da un partigiano che ha sempre avuto un'attenzione esasperata a dove metteva i piedi e gli occhi, come si direbbe oggi all'immagine ad alta definizione”.
Da questa angolatura riemerge in primo piano, inedito e spiazzante un mondo nudo, concreto e materiale di vita partigiana, il sapore di Stella, la trentenne tranquilla che il vergine diciottenne Giulio possiede «con il muso, a grandi colpi, come un vitello affamato».
Insomma i giorni indimenticabili di una gioventù vera e autentica, realisticamente svestita dalle divise d'ordinanza, spesso posticce e sovrapposte, tanto care a certa retorica politica italiana.
A tutti noto per la sua indiscussa qualità di regista e film-maker-autore di un film di culto come Se sei vivo spara (Django Kill, If you live, shoot) uno spaghetti western del 1967, entrato a far parte del vissuto e del patrimonio cinematografico mondiale, adesso, tra sesso amore al sapor di polenta fumante e odor del lardo, a dire dei critici e delle recensioni, con i suoi racconti sull'epopea resistenziale, Giulio Questi si è messo alla pari, entrando anche lui nel cerchio magico dei grandi narratori che hanno epicizzato quei momenti di storia patria, Calvino, Fenoglio e Meneghello.