di Vito Barresi
Quelle bellissime e strazianti immagini di un porto canaglia passato dalle mani della 'ndrangheta a quella dei guerrafondai delle armi chimiche... eccole, adesso in questo istante, nel riflesso degli schermi che portano il suo mare colore del fiordaliso a specchiare le pietraie ventose dell'Aspromonte, dai greti delle fiumare trascinare sulle sponde i rami di oliveti recisi, la luce abbagliante di un Mediterraneo su cui più non si accendono le lampare delle spadare, catturata nella rete di un mondo senza tregua.
Sotto la striscia delle breaking news, latest news, and current events passano le sequenze dedicate al megaporto calabrese che finalmente, sui media globali, conquista un'identità credibile, specialistica, di attrezzato attracco per le operazioni di disinnesco degli odiosi ordigni chimici, cannibalizzando in un istante, un brivido freddissimo, un vortico che stordisce storie e ricordi risucchiati in un fulmine di luglio, la memoria rivierasca di quella che è stata una delle più antiche comunità di pescatori di questo angolo oceanico del Mar Tirreno reggino.
Alla Marina di Gioia Tauro, la frazione più antica e grande del comune calabrese, l'arrivo d'impatto di un arsenale tanto impressionante, proveniente dagli epicentri della geopolitica dei conflitti bellici, praticamente ha spalmato paura lungo ogni viuzza del paese, ricalcato i meridiani e i paralleli di un pianeta solcato dalle più sordide guerre, scaricato accanto al piccolo cimitero di villaggio che sta a cento metri di strada dalla banchina principale, due colossi d'acciaio blindato che portano sotto rigido controllo peste e contaminazione a bordo.
Tutto il popolo è spaesato, ancora una volta shoccato, dopo le vicende del V centro Siderurgico, la Centrale Enel a Carbone, i lavori e le stragi di ndrangheta del porto infinito, il rigassificatore, quasi ritualmente zombizzato nella propria vita quotidiana, persino turbato nell'inconscio collettivo, quel materiale psichico profondo che non rimuove ma sedimenta gli eventi epocali che capitano alla gente di queste contrade.
La Calabria era conosciuta per i cartelli di Regione Denuclearizzata. Non doveva essere ricettacolo di armi offensive. Adesso una delle sue aree d'eccellenza, uno di quei miti ecologici e turistici, a due passi da Tropea, da Capo Vaticano, dalle bellezze della Costa Viola, su cui si sono bruciate le speranze di due o tre generazioni di giovani, politici, tecnocrati, visionari, urbanisti, fa venire i brividi ridotta com'è a una terra atroce nel cuore di un deserto, come un set cinematografico holliwoodiano, dove si svolge un capitolo di guerre stellari.
Spazio aereo off limits, chiusa la navigazione nel mare antistante. Gioia Tauro, punto nevralgico, nodo strategico tra l'Eurasia e l'Eurafrica, sito e localizzazione per la neutralizzazione degli arsenali bellici. Chi presta orecchio sente i rumori del porto, gli stacchi delle operazioni, il rombo dei veicoli in movimento, i cursori d'acciaio dei gruisti. Davanti a Gioia, avrebbe detto Camillo Sbarbaro, e con lui Leonida Repaci, Franco Costabile, Lorenzo Calogero, come alla sua dirimpettaia Liguria, 'non giovano, a dir di te, parole chè il grido del gabbiano nella schiuma la collera del mare sugli scogli è il solo canto che s'accorda a te'...
Dicono che il futuro sta nella demolizione di tutte le cose inutili del vecchio mondo. Ma qui è più frequente assistere alla rottamazione di affascinanti e misteriose civiltà antiche e alla subdola e losca costruzione di discariche clandestine e velenose.
No, non era proprio questa la cartolina in kodachrome che avrebbero voluto ammirare i ragazzi e gli anziani di questa Piana... Sempre in salita, sempre controvento, eternamente controversa.
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