di Vito Barresi
Viaggio all’interno del quarto in basso dello stemma della Regione Calabria, l’allucinante percorso a piedi nel piccolo, prezioso, leggendario promontorio di Capocolonna dove vivono i custodi di un territorio reale che soffre l’abbandono e l’incuria.
Tra erbacce alte un metro, tra maleodoranti cumuli di spazzatura davanti alla chiesa e al museo archeologico, Capocolonna è una litania di miserie e nobiltà, brutture e abbaglianti bellezze, colori unici di luce mediterranea, a sette ore di mare dalla Grecia che ci sta di fronte. Ma da oltre venti anni nel giardino di Hera è finita la pace senza tempo. Da quando hanno chiuso le fabbriche dei veleni costruire e poi abbandonate proprio lungo la foce del fiume Esaro, laddove sorgeva l’antica Kroton, la zona industriale della città pitagorica si è praticamente spostata proprio a Capocolonna.
Capo Lacinio, Capo Nao un luogo tra i più belli del Mediterraneo che sta perdendo ogni sua identità biologica, naturale, storica, culturale, ormai ridotto a un margine confuso e disordinato, dove brigano troppi galli in un pollaio di fatto comandati e controllati da un solo cane nero con sei zampe.
Capocolonna perduta in un non luogo disidentificato a strapiombo sul mare azzurro. Senza che nessuna amministrazione regionale dica una parola su questa nuova zona industriale edificata sui resti dei più importanti templi di culti e religioni della Magna Grecia. Qui notte e giorno funzionano a ciclo continuo quasi una decina di insediamenti produttivi tra piattaforme, pozzi e centrali del gas denominati con sigle surreali come quadri di De Chirico: Luna A, Luna B, Hera Lacinia Beaf, Hera Lacinia 14, Luna 40 Saf e Luna 27. La gente che vive qui è frastornata ma non confusa. Ma per nulla decisa a mollare nella loro battaglia di civiltà. Si sono uniti in un comitato civico per difendere non solo i loro interessi ma quelli di tutti i calabresi, di tutti i crotonesi. Per capire una volta per tutte perché loro che sono i veri i custodi di questa immensa ricchezza universale siano stati messi ai margini come gli indiani d’America, tra vincoli e le riserve di una Capocolonna che amano ma che rischia di perdersi per sempre tra parco archeologico, vecchia e nuova agricoltura, riserva marina, area religiosa del santuario mariano, area geologica della Vrica e nuova zona industriali a marca Eni.
Capocolonna una ferita per la cultura e il turismo calabrese, un vulnus per la dignità dello stemma regionale.
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