di Vito Barresi
In bilico tra burro e cannoni, davanti a una Europa intera che rischia di pagare il salatissimo dazio dell'embargo russo, Matteo Renzi, al vertice Nato con Poroshenko e Obama, ha detto che 'dobbiamo essere uniti nella condanna del comportamento della Russia'.
Ma poi come sempre accade in questi casi, quando nessuno dice tutta la verità e che la guerra dopo settant’anni torna a farsi sentire alle porte di Berlino, alla fine piove sempre sul bagnato. E se non son bombe anche su quel bel posto al sole che si chiama agricoltura europea, le schegge disastrose del conflitto ucraino fanno macerie sugli scaffali dell'export agroalimentare di ortofrutticoli, latte, formaggi, salumi e chissà, oltre al food, anche sul vino.
La Commissione Ue ha stimato che l’export dei 28 paesi dell’Unione verso la Russia è di oltre 117 miliardi di euro e quello del settore agroalimentare, pari al 10% circa, vanta un valore di 11,212 miliardi. Ciò significa che l'incidenza dei prodotti inseriti nella black list russa (carne di manzo e maiale, pollo, pesce e frutti di mare, latte e latticini, frutta e verdura), corrisponde a 5,252 miliardi. Il made in Italy in Russia ha un valore di 706 milioni 485 mila euro. Tuttavia, per il momento, l'embargo si è particolarmente avvertito su pesche e nettarine, con evidenti riflessi in campo, solo per poche regioni italiane, tra cui la debolissima Calabria, che è tra le prime produttrici di agrumi. Con una economia prevalentemente centrata sul primario, dotata di grandi potenzialità climatico colturale ampiamente inespresse e sprecate, a livello ortofrutticolo conta un numero molto esiguo di Organizzazioni di Produttori Agricoli (O.P.), drasticamente diminuito in pochi anni da cinquanta a ventitré in tutto, in quest'ultima regione il comparto ortofrutta ha una notevole rilevanza economica, uguale al 42% dell'intera produzione lorda vendibile dell'agricoltura regionale, con circa 65.000 ettari utilizzati nelle aree di pianura Sibari-Corigliano, Lamezia, Gioia Tauro Rosarno, le fasce costiere del Crotonese e della parte Ionica della provincia di Reggio Calabria, un valore commercializzato di 860.680.320 milioni di euro.
Preoccupati dagli effetti immediati dell'embargo sui bilanci aziendali, sconcertati alla vista di intere carovane di Tir che tornano indietro perché respinti alla dogana, i produttori calabresi non sanno più a chi rivolgersi per la tutela dei propri interessi in sede politica, subendo la crisi della Regione, che in preda ai soliti spasmi pre elettorali, marcia con una Giunta in evidente riserva di autorevolezza e con un assessore regionale all'Agricoltura, l'acrese Michele Trematerra, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Catanzaro.
Tutto questo mentre la Commissione europea ha già indicato le misure d’aiuto per affrontare la crisi di mercato di pesche e nettarine, prevedendo risorse sia per i ritiri a scopo benefico (distribuzione agli indigenti, con il 100% di aiuto) sia per altre destinazioni (energia rinnovabile e distillazione, 75% di contributo), a favore di Organizzazioni dei produttori, aziende agricole non socie, con una retroattività dall’11 agosto.
Mai come adesso vale il detto per cui al contadino non far sapere quanto piace ai russi il formaggio con le pere. Stuzzicati dagli inquietanti scenari prefigurati da una improvvisa impennata del mercato nero, una vera e propria borsa parallela e clandestina, su cui esportare e trattare le qualità del cibo italiano, tanto ricercate e apprezzate non solo da consumatori e gourmet, ma anche da chef, ristoratori e buyer delle principali capitali del gusto della Confederazione russa, l'embargo minaccia di sollecitare disdicevoli quanto incontrollabili appetiti criminali.
Sottotraccia il pericolo che si paventa è che siano stati già allertati i collegamenti tra le mafie russe e le grandi reti del malaffare italiano, quei protagonisti della connection mediterranea, 'Ndrangheta, Camorra, Cosa Nostra e Sacra Corona, notoriamente ben radicati nei territori agricoli di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, spesso player monopolisti e influenti che dettano le loro regole sui più importanti distretti agroalimentari del Mezzogiorno, pronte a sfruttare margini d'affare e ricche plusvalenze insite nella guerra alimentare russa.
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