di Vito Barresi
Vegan anch'io? Si, tu si... almeno a giudicare da quel che è successo sabato pomeriggio al Sana (il Salone dell'Alimentazione Naturale, a Bologna), dove la Rivoluzione delle Forchette Vegan ha fatto il sold out, non solo negli stand della grande esposizione universale del buono e del bello naturale che si tiene ogni anno a settembre, ma anche nella sala Notturno dove, a discapito delle finestre chiuse e delle tapparelle appostate, tenute basse da un team logistico della Fiera sorprendentemente spiazzato, è arrivata una imprevista e poderosa schiera di neofiti, seguaci e agit-prop di un nuovo movimento che sta reclutando, in piena epoca di globalizzazione alimentare, milioni di persone, in ogni parte del pianeta.
Alla testa del colorato, invitante e gustoso esercito vegano italiano, una divisione in avanscoperta di quasi mille strani soldati che pressavano allegri e perlati di sudore, abbigliati in divise rigorosamente unlooked, ecco s'avanza il loro coraggioso capitano, una guardia rossa di schietta marca locale, intramontabile evergreen che risponde al volto e alla voce di Red Ronnie.
Una vera e propria conversione sulla via della mistica vegetariana quella che ha letteralmente sedotto l'icona del pop bolognese, passato dalle invettive antimperialiste di Radio Alice ai cocktail del RoxyBar, per approdare infine alla tavola macrobiotica imbandita di tofu e seitan, il sessantenne ex rockettaro ha aperto la kermesse dedicata alle tesi sostenute da T. Colin Campbell nella sua bibbia vegana, The China Study, raccontando lo scatto evolutivo della sua personalità, da quando abbracciò per la prima volta la dieta vegetariana e poi la più integrale visione, o filosofia che dir si voglia, del veganismo, sostanzialmente perché fa bene alla salute e all’ambiente.
Adesso, più che mai in tempi di crisi e recessione economica, anche corroborati dall'impatto cinematografico di opere recentissime tra cui si annovera Live and let live, Vivi e lascia vivere, un documentario che divulga il credo storico del veganismo, diventare vegani comporta motivazioni etiche che scaturiscono dal rifiuto dello sfruttamento industriale degli animali, aderendo al principio di tutela della dignità e diritto alla vita di ogni vivente.
Senza ironia, il popolo vegano Made in Italy, che si è visto in carne e ossa incapsulato nella bolla fieristica del Sana, non solo esprime un trend che avanza rapidamente nei gusti e nelle mode alimentari della terra della pasta asciutta, della mozzarella di bufala e della bistecca chianina, ma anche un modello che, pur non discostandosi dal fluire reale della vita moderna, al contempo intende riformarne l'architrave della sua civilizzazione, il pilastro alimentare del cibo industrializzato, proponendo una riforma integrale, e talvolta integralista, al satanico meccanismo della globalizzazione alimentare.
A questa 'great trasformation' del cibo futuro, raccogliendo gli ardori persino ascetici degli adepti a un culto personale e identitario, stanno lavorando alacremente anche le più avanzate biotecnologie (non è casuale che le bustine sottovuoto a contenuto vegano assomigliano a quelle degli astronauti in missione spaziale), alle prese con numerosi programmi di laboratorio per creare i nuovi cibi del millennio, finalizzati a spalancare le porte a un business commerciale di dimensioni planetarie. Nel frattempo la conferenza con Red Ronnie è finita e l'anonima folla vegana torna a sciamare tra gli arredamenti minimal-folk dei padiglioni del Sana, epifenomeno della green economy, luogo sublimato della decrescita, tra i menu a gessetto colorato sulle lavagne e banconi in legno dismessi dal mulino bianco. Un concerto di citazioni e rimbalzi presi a prestito dalle consuetudini del passato, guardando all'avvenire. Quanto basta per farsi un infarinatura, solo un attimo prima di tornare tra le strade di Bologna la grassa, l'eterna e instancabile patria dell'olocausto suino alla mortadella.
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