Padre Fedele. Un frate al patibolo salvato dalla Cassazione

18 settembre 2014, 17:00 100inWeb | di Vito Barresi

di Vito Barresi

Come Landolfo, il cronista del Millecento che ci ha tramandato la storia di prete Liprando, cantata dall'indimenticabile Jannacci, anche noi abbiamo cercato in passato, con un certo impegno di raccontare la vera storia di Padre Fedele, e ora che è stato assolto non dal Giudizio Universale ma da quello della Suprema Corte, non possiamo che passare in carrellata il retro report di una vicenda amara, umanamente dissolutiva, testimonianza cruda dell'errore giudiziario, proprio in Calabria, una ferita sul costato del frate, la cui vita è stata scompaginata da una malagiustizia che lo ha immolato al rogo del disprezzo e della pubblica dannazione.

La III sezione penale della Cassazione, chiamata more solito ad assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, ha annullato con rinvio la condanna a 9 anni e 3 mesi di reclusione comminata a Francesco Bisceglia, ex frate francescano sospeso a divinis a seguito dell'accusa di aver violentato, più volte, una suora. Una vicenda emblematica da dedicare a tutti quelli - e sono tanti - che pur essendo testimoni di fatti importantissimi e determinanti di un esercizio abnorme e indicibile della Legge in questa regione, con sprezzante sicumera, spesso fanno finta e neanche se ne accorgono.

Ben visto dai poveri Cristi, Padre Fedele, fu imputato da un giudice, suppergiù dei setti peccati capitali, quasi a imitazione del famoso dipinto a olio su tavola attribuito a Hieronymus Bosch, prima condannato e adesso assolto, dopo che aveva urlato di dolore e rabbia davanti a una sentenza che lo puniva materialmente a quasi dieci anni di carcere, inchiodato da certa post borghesia togata al marchio perenne dell’infamia e della possessione demoniaca.

Sembra di risentirlo davanti ai microfoni e alla telecamere che lo assediavano, sempre con qualche ilarità e sconcio sotto testo, quando ormai privo di respiro, il frate senza saio tuonava contro le suore che lo avevano accusato additandole con pronuncia netta e rimbombante, 'avete fatto una cosa vergognosa. Vergognatevi, il Signore vi perdonerà. Pentitevi!’, dando sfogo al dolore verso quella che definiva “l'interminabile e diabolica barzelletta raccontata da una spericolata e scaltra pseudo suora, e raccolta solo da alcuni curiosi, come il reality Beautiful o Centovetrine”.

Suor Francescane dei Poveri che replicarono con uno scabro comunicato, commentando l’esito giudiziario, frutto a loro dire di un'esperienza molto dura, vissuta da una donna ai voti vulnerabile, come un dipinto barocco in cui tra gli oscuri toni della notte, s’alzava la voce capace di denunciare e narrare una immonda condizione di abuso.

Ruota della giustizia che girò implacabilmente e tanto pesantemente, quasi come quella di un Tribunale dell’Inquisizione. Probabilmente perché in quel processo si sovrapposero piuttosto racconti decameroneschi che vicende, fattoidi facilmente preda di connotate visioni e fantasie erotiche, oscenità verbali, rivelazioni impudiche di atti e rapporti intimi, gesti e posture inconsapevolmente indecenti, denudamenti più o meno involontari, inversioni sessuali simboliche, che segnano il comportamento del condannato con il colore pornografico di un ambiguo e molte volte greve senso di lascivia.

Ma ancor di più la pena inflitta a Padre Fedele gettò una luce, anzi principalmente molte ombre, sulla parte più invisibile della vita di comunità, e in quel caso sulle sue vergogne nascoste, le trasgressioni consumate in uno spazio, non banalmente privato, proprio a ragione del suo carattere religioso. Forse proprio per avere lambito, anzi talvolta invaso il campo dell'immaginazione e della rappresentazione, tralasciando l'effettiva realtà, quella sentenza del Tribunale di Cosenza, è stata cassata senza appello né ripensamento. Con un rinvio a nuova scena processuale.

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