Maria Rosa Prandelli. La manager del turismo altoatesino che ballava coi lupi calabresi

23 settembre 2014, 13:00 100inWeb | di Vito Barresi

di Vito Barresi

Come in un film la scena si apre inquadrando la piccola vettura di Maria Rosa Prandelli, una ben manutenuta Nissan Micra, trovata ordinatamente parcheggiata e chiusa, senza alcun segno di sfregio o di scasso, davanti all'ingresso in platea del cinema Cineplexx a Bolzano. Agli investigatori, accorsi in quell'ansa a gomito del fiume Adige, laddove si stende il vasto parco ferroviario della Stazione principale, al comando del procuratore della Repubblica di Bolzano, dott. Guido Rispoli, nelle ore mattutine di un giorno d'agosto, è concesso solo un istante per diradare la suspense di un trailer imprevisto, pressati come sono ad abbandonare questa sponda immaginaria per rientrare nel reale, subito sospinti a gettare uno sguardo più oltre la suburbana via Josef Mayr Nuss, sull'ameno paesaggio rupestre del non lontano lago di Carezza. Perché è da lì, da una delle stanze di un gioiello dell'industria alberghiera italiano che è partita per una meta ignota, la sua proprietaria, una nota imprenditrice turistica, conosciuta non solo nel bel mondo e affascinante del jet set dei più importanti tour operator internazionali, ma la cui segnaletica, nei cinquanta giorni dalla sua scomparsa, è passata più volte allo scanner degli uffici inquirenti, per via del suo pesante account di persona recidivante, coinvolta come è stata, in oscure vicende di 'ndrangheta e sospetti illeciti fiscali.

Dalle finestre di un lussuoso albergo, una location prestigiosa intrisa di lusso antico e di vetusto blasone, 50 metri all’indentro della strada nazionale, la sagoma imponente del Palace edificato nel 1896, ricostruito dopo un drammatico incendio nel 1920, che accolse la principessa Sissi, Winston Churchill e la regina del giallo, Agata Christie, si scorge un paesaggio mozzafiato, in cima alle montagne pallide, le Dolomiti, un sito di stratosferico valore immobiliare. Alle spalle di Nova Levante si trova l'hotel della Prandelli, il suo buen retiro, forse la sempre vagheggiata tana irraggiungibile, solitaria, perfetta e protetta, per sfuggire alle paure meridiane della mafia, scacciare le angosce di una vita divenuta agghiacciante, vissuta com'era in sorvegliato parallelo tra i riflessi color smeraldo del lago di Carezza e lo splendore accecante del mare Mediterraneo, di fronte a Capo Piccolo, Isola Capo Rizzuto, in Calabria, terra color bruciato di un'intricata e secolare saga di padrini, faide, vendette e delitti selvaggi, un mondo che gioca di continuo ad alterare completamente ogni verità. Figura di spicco nell'ambiente bene del turismo e dell'economia crotonese, con forti entrature e appoggi non solo nel mondo della politica locale e regionale, a chi l'ha conosciuta, caratterialmente sembrava una donna molto risoluta, emblema di una managerialità al femminile che negli ultimi periodi si era 'infragilita', quasi fosse sperduta e impaurita di se stessa e degli altri. Si era sposata con un pensionato crotonese, Francesco Sollazzo, spirato in una struttura protetta alto atesina, forse ultimo testimone dei fatti, pochi giorni dopo la scomparsa della moglie, un ex dipendente comunale che l'aveva seguita fino in bassa Baviera, sopratutto dopo la brutale aggressione subita sull'uscio della loro casa calabrese, in una drammatica e violenta notte del gennaio 2013, quando una squadra all'arancia meccanica, tre uomini travisati dai passamontagna, li fece a pezzi a colpi di bastone, infierendo con rara ferocia proprio sul volto e sul corpo della Prandelli, massacrandola di randellate.

Tra i pochi lati ancora non scoperti in questa storia, quelli che restano 'insondati' sono quasi tutti riservati agli angoli più bui, un'intuibile grumo di segreti e disperazione custodito da una donna particolare, non un alias ma la stessa che venne arrestata dai carabinieri nel maggio del 2001, dopo un rocambolesco pedinamento, nell'affollata stazione ferroviaria di Milano Centrale, accusata di aver economicamente sostenuto, materialmente favorito e moralmente coperto la latitanza di un uomo, un giovane picciotto affiliato a una delle 'ndrine di Capo Rizzuto.

Dettagli e skill che fanno risalire un fremito horror sulla tersa e cromatica immagine turistica di un salone delle feste, una piscina dagli affreschi immaginifici, sterminati parcheggi, terrazze, ristoranti e bar, silenzi e tranquillità senza fronzoli. Un fac-simile del set di Shining, come avverte sinistramente la sinossi di un sito web che reclamizza il Grand Hotel di Maria Rosa. Nel mentre si spera, si vorrebbe, altro finale diverso dalla pellicola cult di Jack Nicholson, il ritorno a casa di Maria Rosa, dopo aver ballato coi lupi calabresi e bavaresi, in quell'ultimo, maledetto incrocio tra un paradiso fiscale e un inferno targato missing.

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