di Vito Barresi
Equequa, ripeteva come un mantra plebeo Peppino De Filippo, per deformare in dialetto l'alta pronuncia dell'avverbio italiano ecco qua, e al suo seguito i cronisti intercalavano in coro, equequa, qua, qua, qua, qua... Uno sketch, una breve scenetta comica, che adesso risuona in tutta Napoli, con effetto a rimbombo e di ritorno, 48 ore dopo la condanna inflitta all'ex giudice e ancora sindaco di città, assiso come Re Travicello in quel di Palazzo San Giacomo, tra il Maschio Angioino e la splendida Reggia dei Borboni.
De Magistris come il replay di Scopelliti? Molto probabilmente si, con Napoli in bella vista, dove al colpito e quasi affondato relitto di Gigino senza Toga, ormai non resterebbe in pubblico neanche un posto al sole dove esporsi in sua tranquillità.
Anche se il fondo sembra davvero già toccato da una vicenda che, come in un affresco d'epoca, ritrae una classe dirigente politica e amministrativa del Sud Italia che sul finire dello scorso secolo si era affacciata rampante e censoria sulla scena istituzionale del Paese e dell'Europa.
Ore, in qualche modo maledette per il primo cittadino partenopeo, in cui il suo pensiero meridiano e notturno sembra andare con la frequenza del battito cardiaco, all'idea della dimissioni anticipate che si fa sempre più insistente, pressante e forte anche a ragione dell'imminente, importante occasione internazionale che lo aspetta, dopo i fasti globali della Coppa America di Vela, niente poco di meno che il Summit della Bce, la banca centrale europea, seconda nel mondo dopo il Fondo Monetario Internazionale, previsto per il 2 ottobre.
Proprio questa occasione mondiale poteva in qualche modo essere una finestra per a ridare smalto all'immagine appannata di un personaggio che aveva fatto assaggiare alla città mondo più complessa e antica dell'intero Mediterraneo, non solo taralli e sfogliatelle, ma tutta la gamma delle disillusioni suscitate dalla repentina ascesa e dalla più rapida debacle di un idolo con la toga che era tornato a casa tra ali di folla osannante e strombazzamenti mediali, portati fino al parossismo da ambigui ‘santi’ del piccolo schermo, eccessivamente ingranditi da un furore puritano a buon mercato.
Come si sa, le opinioni di De Magistris a proposito dell'irreversibile crisi economica che ha totalmente destrutturato i circuiti prodottivi italiani, erano molto dure e radicali nei confronto di chi l’ha gestita, additano proprio la Bce come una delle istituzioni finanziarie responsabile di calcolata disattenzione ed egoistico riguardo alle sole proprie tabelle di rendimento e, pertanto, colpevole di un ‘socialicidio’ contro la classe media, sempre più ridotta e spinta verso la povertà, costringendo gli enti prossimi al cittadino, come i Comuni, al ruolo di esecutori testamentari dei servizi che prima garantivano la tenuta sociale di una comunità. Ecco perché l'ex giudice ebbe a dire di guardare con rispetto e curiosità quei giovani che nel 2013 avevano assediato a Francoforte proprio la sede centrale della Bce, convinto che lo spirito e l'anelito di quella manifestazione fosse profondamente europeista, in quanto l’Europa può divenire comunità di popolo solo se solidale con il popolo.
A meno che non si verifichi un secondo classico colpo di teatro. Dopo il roboante e altero lancio della toga, la più dimessa, sconsolante cerimonia dello svestimento in fascia tricolore. Una possibile uscita di sicurezza posta in primissimo piano che, rumoreggiando il volgo per strade e vicoli, fa laconicamente sussurrare ai suoi ‘perfidi’ avversari una forbita strofa manzoniana, il clamor delle turbe vittrici, copre i lai del tapino che muor.
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