di Vito Barresi
Ancora tu ma non dovevamo vederci più? Dopo tutto il male che si dice del soggetto nella regione più stremata dell'Italia contemporanea, riassunto in quella summa teologica del pensiero 'no/demagistris', il sentimento schietto e reprobo del già governatore ed ex collega togato Giuseppe Chiaravalloti che di lui ebbe a dire “è la persona che più disistimo e disprezzo fra quanti ne ho conosciuti nel mondo”, eccola di nuovo che gli fa ciao, improvvisamente, la Calabria, quasi intesa come destino, pronta a ritornare a risvolto nella storia di vita e di carriera di Luigi De Magistris.
Che non finirà la pubblica esperienza di sindaco, magari dopo le lunghe e sapide immaginarie conversazioni a mezzogiorno con un Putin e un Obama, che pure loro ogni tanto canticchiano 'O sole mio', ma ancora una volta sarà convocato a depositare il suo ennesimo attimo fuggente nelle mani di un calabrese.
Certo non saranno le stesse impalmate con fede nuziale alla signora De Magistris, Maria Teresa Dolce, sposata nel 1998 in una chiesetta sulle colline di Soverato, dopo che il colpo di fulmine li raggiunse, con Cupido al seguito, in quel di Catanzaro, mentre lei faceva pratica in uno studio legale, fin poi da raccontare sul patinato Vanity Fair, quel momento quando 'apprezzai la sua semplicità, nei tribunali c’è gente che si dà arie, Luigi mi colpì quando al bar chiese una spremuta d’arancia, e capii che era diverso'.
Comunque, buone mani, sicure, statali, istituzionali cioè quelle di Francesco Antonio Musolino Prefetto di Napoli, chiamato a disbrigar l'infuocata e rovente pratica di Gigino senza fascia, sul cui procedimento di sospensione dovrà apporre la firma conchiudente, applicando per accertamento dovuto le disposizioni della legge Severino senza alcun orpello e indugio discrezionale.
Figura di spicco, collocato in una vera e propria generazione di prefetti calabresi che, nell'agitata parentesi storica della cosiddetta Seconda Repubblica, contano più di quanto non si dica nella nomenclatura dello stato centrale, per singolare precisione e dovere istituzionale, l'identikit dell'alto funzionario si riassume nei risultati netti e rilevanti del suo costante impegno al servizio dello Stato. Calabrese, da oltre un trentennio nell'organico del Ministero dell'Interno, nato a Santo Stefano in Aspromonte (RC) il 3 maggio 1951, laureato in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Messina ed abilitato all'esercizio della professione legale, entrò nell'Amministrazione dell'Interno nel 1979, dal 1983 al 2000 ha svolto funzioni di Vice Capo di Gabinetto e Capo di Gabinetto della Prefettura di Reggio Calabria. Nel luglio del 2000 fu trasferito alla Prefettura di Milano, Capo di Gabinetto e, dal febbraio 2004, Vice Prefetto Vicario. Nel dicembre 2005 venne nominato Prefetto della Provincia di Crotone, fino al gennaio 2007, poi trasferito alla Prefettura di Cosenza. Successivamente va alla Prefettura di Reggio Calabria, prima della sua assegnazione a Genova, dal novembre del 2012 è Prefetto di Napoli.
Calabresi con vista sul Golfo, proprio come in una situation comedy alla napoletana. Allorquando nella più grande città del sud Italia, là dove vige il motto 'siamo vincoli o sparpagliati?', appare in palcoscenico una sequenza implacabile, il connubio tra poteri dello stato e autonomie locali. Una morsa che da Scopelliti passa per Errani, travolge il De Magistris, porta al vertice Matteo Renzi, Del Rio e la Lanzetta. Tutto in uno, all in one che dir si voglia, dopo la finta emergenza spread-berlusconiana, mettendo in capo a un nuovo partito statale, trasversale e neocentralista, lo scettro assoluto del comando politico italiano.
Insomma siamo tutti di fronte a uno scenario inedito che è il frutto maturo di un combinato disposto, il prodotto delle sentenze dei giudici che scalzano anche gli ex giudici, talmente impetuoso da arrivare fin sopra alle stanze politiche del governo e del Ministero degli Interni. Per diramarsi imperiosamente in ogni dove locale del territorio nazionale.
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