Cirò 2014. I vendemmiatori del Gaglioppo nell’ultima fabbrica del vino calabrese

2 ottobre 2014, 18:00 100inWeb | di Vito Barresi

di Vito Barresi

Diri rindindin Diri rindindin Diri rindindin, din, din, din, din... E com'è bella l'uva 'gaglioppina' e come è bella saperla vendemmiar... Nel mercato aperto del Vendi Vendemmia 2014 c'è vino per tutti. Per etichette prestigiose e boccali popolari, semplice vino da tavola e sofisticati sommellier, aziende agricole e cantine calabresi questa volta baciate dalla fortuna di un andamento climatico che ha tenuto al riparo riparo la Calabria dagli effetti imprevedibili e calamitosi, cicloni e anticicloni, di un'annata viti-vinicola che gli esperti classificano con aggettivazione che va da anomala e passa persino per bizzarra. Vendi Vendemmia 2014, anche se per il momento, nella marca territoriale del nettare alcolico più antico del mondo, nei vigneti di una regione estrema (che le tabelle Assoenologi, l'organizzazione nazionale di categoria dei tecnici del settore vitivinicolo, comprendono nelle voce 'altre', doppio asteriscata, con Valle d'Aosta, Liguria, Molise e Basilicata) tra le arse dune di sabbia, lungo i margini di dolci calanchi dell'Italia del Sud, sale soltanto calore e polvere d'argilla, la stessa che accompagna i passi delle allegre compagnie di vendemmiatori, tutti giovani davvero autoctoni, senza alcuno innesto afro-nigger, che colgono l'uva matura, dai tralci stracolmi dei bassi e rugosi vitigni di tipo Gaglioppo. L'annuncio è quello, se tutto va bene, di un incremento vendemmiale quantitativamente superiore del 20 per cento rispetto al 2013 e di una resa in gradazione qualitativamente eccellente per via dei benefici effetti del caldo estivo. Una notizia che si è sparsa in un baleno trasformando il paesaggio agrario delle assolate campagne cirotane e melissesi, in un gigantesco palcoscenico di movimento terra. Un arsenale produttivo a ciclo continuo e stagionale, interamente dedicato alla specializzazione di vino qualità, dotato di quasi 4.000 ettari di superficie, principale Doc calabrese, Cirò che si attesta al 73,5% del totale dell'intera nicchia regionale. Centinaia di coltivatori in attività, migliaia di addetti impegnati nella filiera di raccolta, trasporto e stoccaggio, tutto ammassato sui piazzali della più importanti case vinicole locali, pronte a versare la loro cospicua quota di manifattura liquida, diluendola nei circa 350mila ettolitri, frutto degli 11.100 ettari di superficie vitata, 80 cantine e 400 etichette, che posizionano la Calabria al sedicesimo posto nella graduatoria del vino nazionale.

Nell'ultimo decennio, secondo i dati del censimento, nel distretto cirotano, dove si concentra la fabbrica del vino calabrese, tra gli imprenditori che contano sulla piazza dei vignerons, sempre di più si parla, al posto del mosto, di pianificazione tecnologica in vigneto, in cantina e nel marketing. Ma sopratutto si guarda con attenzione alle inedite opportunità, in termini di surplus di profitto e di valore aggiunto, scaturite dal simultaneo ampliamento del mercato globale e dalla drastica riduzione complessiva delle superfici aziendali, con un calo di ettari pari al 35%, che porta da 13800 a 9100 gli ettari messi a coltura. Numeri che in moneta sonante corrispondono a un giro d'affari oscillante tra i 22 e i 24 milioni di euro anno, capaci di attivare l'insieme dei fattori produttivi territoriali (lavoro, impresa, credito, finanza, servizi e infrastrutture pubbliche, burocrazia regionale, nazionale ed europea, ecc.), su un prodotto DOC che con i suoi 55 mila ettolitri di produzione, copre oltre i tre quarti dei 67 mila ettolitri calabresi. Altro che poesia della vendemmia! Tra espulsione dei piccoli coltivatori più poveri e tartassati dalla fiscalità di uno stato implacabile ed esoso, annientamento delle caratteristiche identitarie dei vitigni autoctoni con la pratica dell'espianto selvaggio, dilapidazione del germoplasma e mancanza di una carta del suolo agrario ad esclusivo vincolo viticolo, quel che avviene nella provincia più povera d'Italia, segnala una deregulation in grande stile in cui si realizza il paradosso del miracolo della moltiplicazione del vino, a fronte di quella agognata e sempre mancata del pane e del lavoro. Così, in una delle provincie più disastrate del Mezzogiorno, inebriati dalla bella vendemmia, nessuno sembra accorgersi che al posto delle chimeriche Sylicon Valley esiste già una vera e propria Napa Valley. Una valle del vino che non sta in America quanto, invece, nella California del Mediterraneo. La stessa a cui qualcuno ha voluto affibbiare anche l'altisonante e blasonata denominazione di Contea, dopo che la Regione Calabria tramite gli enti comunali si premurò, tra politici affaccendati e imprenditori interessati, di acquistare le spoglie fallimentari della Giara, al prezzo di 1.200.000 euro. Un azienda sovvenzionata a norma Cee che in tempi di vacche grasse andò per la maggiore, conosciuta anche come la Fiat dell'olio calabrese per via della presenza in proprietà di Samaritana Rattazzi, figlia dell'ex ministro degli Esteri Susanna Agnelli, la nipote di Gianni Agnelli.

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