di Vito Barresi
Ebola, stazione di Ebola... soyez le bienvenu!, pare di udire dagli altoparlanti, risonanti nel vuoto di una spettrale stazione ferroviaria, un luogo che se arrivasse una notte d'autunno un viaggiatore, fuori dell'abitato dell'antica Kroton, sporgendosi dalla costa marina senza temere il vento e la vertigine, vedrebbe centinaia di ombre nere che si addensano e si sovrappongono rapide, tutti uomini e giovani, migranti senza patria né lavoro, al passo e al ritmo di un jamboree notturno in cui s'intona un canto del Benin, una reggae della Costa d'Avorio, un rap del Senegal. Che non siamo arrivati a Eboli non ci vuole niente per capire, chè basta solo un attimo per sintonizzarsi con la radio clandestina che trasmette il segnale della povertà, dell'emarginazione etnica, del pericolo e dell'insicurezza scaricati improvvisamente in una fermata simbolo dell'Europa del Sud.
Stabilmente collegata con gli sbarchi, linea diretta dal Mare Nostrum alla terra di nessuno, tra i binari morti di quella che nella classificazione della RFI (Rete Ferroviaria Italiana, Gruppo Ferrovie dello Stato) è definita Bronze, la categoria che comprende piccole stazioni e fermate caratterizzate da basse frequentazioni, generalmente meno di 500 frequentatori medi/giorno, spesso impresenziate, prive di Fabbricato Viaggiatori e dotate di servizi unicamente per il traffico regionale/locale. Oltre le trincee della grande guerra, quella tragica e leggendaria di cento anni fa, sovviene il profilo delle casematte, quasi le stesse che ora riappaiono nella nuova forma post moderna del conflitto migratorio.
Tutta vera pop art povera, in cartone riciclato lungo un fronte inaspettato, la frontiera capovolta dal Nord al Sud, le case a pan di zucchero come le chiamava Pasolini nella sua Profezia. Viaggiatori senza biglietto che ormai si radunano non episodicamente ma strutturalmente, a pochi metri dalla Caserma dei Carabinieri, concentrandosi attorno a un capannone d'epoca, solaio con capriate in legno, tetto con tegole d'argilla rossa, dove c'era la gestione merci Fs, l'agenzia doganale, adesso varco aperto, il fortino simbolo di una vera e propria 'Ebola railroad', spazio per la temporanea dimora di una folla di più fortunati migranti, sfuggiti ai naufragi e sbarcati indenni sulla riva delle Jonio.
Non uno ma tanti fantasmi s'aggirano tra le linee sganciate di un piazzale dove doveva sorgere un impianto intermodale a incrocio tra porto, strada statale, zona industriale e nodo ferrato. Quello che sto attraversando in penombra, per tracciare un report sulla condizione di degrado, fatiscenza, intolleranza e pericolo in cui si trova la stazione semi dismessa di Crotone, è uno degli angoli più bui della Rete Ferroviaria Italiana. Pezzi ormai disconnessi che s’allacciavano, s’intrecciavano su un tappeto di foglie e piante di liquirizia illuminate dalla luna. E adesso che con gli sbarchi, il vicino centro d'accoglienza di Sant'Anna e le regolarizzazioni dei lavoratori ospiti, Crotone, insieme a Lampedusa, è diventato il 'ghetto nero d'Europa'.
Una città canguro che nel suo marsupio accoglie giornalmente un onda vagante tra duemila/tremila persone che con gli altri stranieri raggiunge quota 10% della popolazione presente, quale storia può raccontare? La pressione si avverte e lascia serpeggiare un'aria di paura sociale. E nel mentre c'è ancora scarsa preoccupazione sanitaria, girano strambi allarmismi circa la diffusione e il contagio di una malattia che sta mietendo migliaia di vittime, un'epidemia che minaccia non solo l'Africa ma l'intera comunità europea. In tv i notiziari dicono che i paesi sviluppati 'stanno perdendo la battaglia' contro Ebola a causa di una mancanza di solidarietà e di comprensione. Come se il mondo ancora non avesse capito quale sia il rischio, non solo per l'Africa Occidentale, ma per la sicurezza delle nazioni.
Sul far della sera arriva il camper di Emergency, un Pony 100 da cui scendono due ragazzi volontari, pronti ad avanzare tra binari e traversine con cautela e circospezione. Provvedono a mettere i guantini di lattice, si coprono la bocca e le narici con la mascherina e poi, tenendosi a debita distanza, chiamano il gruppo di africani, seduti vicino al fuoco, sul muretto della massicciata, parlando loro in francese, in inglese. Da lontano li invitano a raggiungere la postazione mobile del presidio medico.
Ancora nessun caso di contagio, in Italia. Intanto l’Azienda Sanitaria di Catanzaro, in via precauzionale, ha deciso di allestire un presidio organizzativo per trovarsi eventualmente pronta. La prima task force in Calabria contro il virus, è stata attivata a Lamezia. Cento chilometri più lontano da Ebola Station, dove è ancora bella la stagione e le targhe al sole ricordano perenni che qui Cristo non si è mai fermato, a differenza di Garibaldi, George Gissing e Norman Douglas.
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