di Vito Barresi
Quanti sono i gradi che legano il sangue di Halloween al vino di Cirò? Apparentemente nessuno, a parte che la festa e la bevanda condividono il tempo dell'autunno, il novembre dei morti e del mosto, la vendemmia appena prima di San Martino, la gioia di una sana sbronza 'nature' che mescola, nel Santo Graal di scherzetti e dolcetti, la notte americana di Hyde Park a New York con la luce mediterranea che fende il nettare degli dei. Suggestioni non da poco se c'è già chi grida al miracolo, in qualche modo simile a quello di San Gennaro, faccia gialla protettore del Regno Borbonico, davanti al sorprendente abbinamento ben miscelato e temperato di zucche magiche e liquido organico e biologico, coltivato e raccolto nel grembo di madre terra Enotria, luogo millenario, origine universale di tutti i vini e i vitigni autoctoni del mondo antico e di quello globale.
Insomma, per quel si scrive in giro, persino sulle colonne del prestigioso New York Times, tal quale l'attimo fulmineo del Big Bang, tra la morte mascherata e il tralcio di 'a vita', da un sol calice potrebbe scoccare un briciolo micro cronologico, la magia di un contatto, l'aggancio di due navicelle spaziali mitologiche che, secondo la teoria dei sei gradi di separazione (guarda caso di tasso alcolico) legano, indissolubilmente, due classici riti pagani, quella orgiastica dei Baccanali di Crimisa, con i suoi riti dionisiaci e apollinei nel Tempio di Punta d'Aleo, le nozze dorate dell'acrolito dagli occhi vuoti, la famosissima Testa di Apollo, con le orbite profonde e cave della zucca, la conosciutissima maschera apotropaica di Halloween.
Il Rosso della festa che ravviva i costumi tipici del mondo sotterraneo e notturno dei vampiri e degli zombie deve essere, pastoso, tannico, con sapore di nocciola e profumi di rosa appassita. Così ha detto il principale critico del New York Times, dal nobile cognome fantascientifico Eric Asimov, che ha selezionato 20 bottiglie del mondo globale, a meno di 20 dollari per andare alla discovery dei vini sconosciuti. Naturale, vero, sincero, biologico, biodinamico, appassionato, autentico, semplice, pregiato, umano. Come si chiama il vignaiolo locale di questa neo etichetta globale, e da dove proviene? Dal vino degli Argonauti a quello degli astronauti, con la firma d'avvallo sulla bottiglia non di uno qualsiasi ma niente meno che del figlio del celeberrimo Isaac Asimov, adesso si può anche sognare il futuro, seguendo la scia dell'iniziale intraprendenza di un vitivinicultore calabrese, Francesco De Franco. Laurea a Firenze, architetto a San Marino, scelta di vita ritorno alla terra, per dedicarsi alla vigna di famiglia. Diplomato all’Enologico di Conegliano, scende in campo proprio quando il Consorzio di tutela del Cirò e Melissa cambia le regole e permette di usare altri vitigni, anche internazionali come Cabernet e Merlot, fino al 20%. A quel punto De Franco si mette dalla parte dei piccoli vignaioli che vogliono tutelare l’identità territoriale e la storia del vino leggendario, medaglia premio agli atleti delle Olimpiadi, tra cui spicca il potente Milone.
Quattro vigne, otto ettari, numeri pitagorici degni di un teorema, complessivamente coltivato in biologico. Niente pesticidi chimici, solo rame, zolfo e sostanze naturali, applicate sul vigneto con cautela e sobrietà. Solo così germoplasma, zolle e specie varietali rimangono vive e non esauste passando di vendemmia in vendemmia, conservando una fertilità che resta la premessa del buon retrogusto palatale ma anche la precondizione per tutelare la biodiversità dei terreni, la peculiarità del vitigno Gaglioppo e degli altri autoctoni, i migliori testimoni della straordinaria vitalità e traiettoria d'avvenire di uno dei vini cardine della civilizzazione mediterranea.
Accanto alle zucche con occhi, naso, bocca e dentro la fiammella di un lumino, che da sempre fanno parte di usi e consumi secolari del folklore popolare, rappresentati nelle fiere autunnali di Ognissanti, stesso tempo di vendemmia, revival dei Lemuria, le celebrazioni che nella Roma antica evocavano il ritorno dei morti in terra con offerte di alimentari, per stemperare la solitudine delle anime abbandonate, il consolo rivendica anche un buon vino, un rosso trascendente e filosofico, freddo ma psichico, come ha scritto l'enogastronomo de Il Mattino Luciano Pignataro, concettuale ma semplice di approccio, non sofferto, lineare, immediato e di facile comprensione.
Come dire, American Taste, il gusto americano di un bicchiere di buon Cirò.
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