di Vito Barresi
Lost His Way, Obama ha smarrito la strada? Una previsione che sembrava azzardata ma che si è svelata millimetricamente azzeccata, quasi come in un'anteprima di un film, scena per scena, parola per parola, scritta e firmata da Leon Panetta, ex capo del Pentagono e della Cia, personalità di grande spicco tra gli italo americani, con antiche origini sidernesi, ancora qualche cuginanza remota in Calabria.
A poche settimane dal voto il signor Panetta aveva accusato nel suo ultimo libro ‘Worthy fights' (Un Degno Combattimento), in queste ore balzato all'attenzione del pubblico statunitense, il presidente americano di troppa mediocrità in politica estera, analizzando gli errori seriali commessi in politica estera da Barak Obama.
Figlio di immigrati calabresi, il padre di Leon, emigrò in America da Siderno, prima a Sheridan in Wyoming dove una piccola comunità italiana lavorava nelle miniere di rame, poi in California con la moglie Carmelina, dove aprì un ristorante nella zona di Monterey. Settantenne molto attivo, una lunga carriera politica - per nove mandati è stato eletto alla Camera - Panetta è stato il primo italo-americano a occupare la sedia di Ministro della Difesa Usa. Dopo la morte di Bin Laden dicono di lui: una delle pochissime persone che sapeva che c’era un problema terrorismo molto prima che chiunque avesse sentito parlare di Al Quaeda.
Con puntigliosa memoria un Leon tutt'altro che a riposo (ma a cui non mancano le critiche del tipo, un insider per eccellenza, si potrebbe dire che il signor Panetta è stato negli ultimi decenni uno dei leader della trasformazione dell'America in una Repubblica delle Banane) ha trascritto una check list di ricordi, evidenziando ai connazionali più di un controverso dossier giunto sul desk più importante della Stanza Ovale. A cominciare dall'invio di più truppe in Afghanistan nel 2009, poi la caccia planetaria scatenata per uccidere Osama Bin Laden, il caso del militare Bowe Robert Bergdahl, caduto prigioniero dei talebani, poi liberato e soccorso dalla Delta Force, in cambio della liberazione di cinque prigionieri afghani (i cosiddetti Taliban Five) detenuti nel campo di Guantanamo Bay e, per ultimo, la discutibile decisione di armare i ribelli siriani.
Nonostante in tempi non lontani dall'oggi le opinioni di Panetta erano molte diverse, forse anche stanco di subire l'acritico andazzo di sudditanza e fedeltà all'élite che si è formata attorno al presidente, ancor prima di altri osservatori e opinionisti, a poche settimane da questo catastrofico tonfo di mezzo termine che rischia di sconquassare alle fondamenta il potere obamiano, aveva messo in guardia il quartier generale del Partito Democratico dell'uragano che stava montando nell'elettorato.
Ora che la sconfitta dei democratici rischia di tramutarsi nell'autunno di una effimera era Obama, il libro di Leon Panetta sembra sancire un verdetto storico implacabile sulla incompetenza del presidente in carica, responsabile del pasticcio siriano ma sopratutto della mostruosa crescita dell'Isis. Accuse pesanti che scuotono il mondo occidentale alle prese con una crescente instabilità del quadro internazionale ancor di più agevolata da questa sonora sconfitta.
Con una accelerazione improvvisa, prodotto di forze elettorali uguali e contrarie, gli scenari tracciati da Panetta, un democratico che si è battuto per il pareggio di bilancio ma anche per l'ampliamento dell'assistenza agli anziani e ai malati, un devoto cattolico contrario alla pena di morte ma ha pesato ogni drone dal 2009 fino al 2011, l'uomo che tra crisi e leadership preferisce scegliere sempre la seconda, rilanciano nell'agone politico, posizioni e memorie che potrebbero fare la differenza. E favorire una ormai sempre più probabile candidatura e ascesa di Hillary Clinton alla Casa Bianca.
Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.