di Vito Barresi
Curiosità, coincidenza? Può darsi. Fatto sta che, al riparo dei 'poveri' (ignari... e quasi sempre malcapitati) calabresi, scudisciati in blocco per la loro presunta e insipiente 'coglionanza', il balletto cortigiano attorno alle statue più famose della Magna Grecia narra al cronista tutta un'altra vicenda di intrighi, congiure, odi e rancori, vendette culturali e appannaggi trasversali, più che mai in uso nella corte politico governativa che domina in questi anni il Paese. Pronti a far delle belle arti merce di scambio per affari, prestigio e personali scalate, ecco l'ultima, una delle tante (e non certo tra le cinque di Giorgio Bassani) storie ferraresi da cui sembra trasudare l'implacabile lotta di potere tra due novelli 'Bronzi di Ferrara'.
Si proprio così, 'Bronzi di Ferrara', in silente singolar tenzone ormai da molti anni, pronti a tramutare passeggiando prima di cena lungo il Corso della Giovecca, quella che fu la loro piccola battaglia estense e localista nella magica ed epocale disfida per ottenere il primato sulla cultura italiana, in vista dell'apertura della porta sovrana e universale di Expo 2015. I nomi, scolpiti su marmo a futura memoria, raccontano le armi e le gesta di una sottile quanto puntigliosa disfida, in fondo dal sapore antico e molto provinciale, nonostante siano quelli del top level, i due plenipotenziari del patrimonio artistico nazionale. Il primo Vittorio Sgarbi, assurto in questi mesi a ministro ombra, personaggio in vista in ogni cancelleria mondiale per il suo 'incarico', formale e informale, di responsabile artistico e culturale di Expo 2015, nato a Ferrara l'8 maggio 1952; il secondo Dario Franceschini, nato a Ferrara il 19 ottobre 1958 Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo nel governo di Matteo Renzi, ministro di una Italia a rischio default, entrata nel girone di quelle nazioni economicamente 'canaglia', per quanto appetita sui mercati globali proprio per i suoi inimitabili gioielli di famiglia, i beni pubblici patrimoniali, tutti o quasi esclusivamente appartenenti al catalogo artistico e culturale, proprio come quella vicina Grecia da cui provennero i guerrieri di Riace.
Dario e Vittorio, Bibì e Bibò della cultura nazional-popolare, entrambi di fede cattolica. Vittorio è politicamente un eclettico, le cui militanze si direbbero un 'polittico' accentuatamente laico e conservatore; costituzionalmente fedele alla causa della vecchia partitocrazia storica, base, segreterie e nomenclature l'avvocato Dario vestiva fin da piccolo alla democristiana, poi alla popolare e con l'avvento del nuovo millennio più aperto alle correnti 'naif' della Margherita, fino a fregiarsi anche nell'allure di una barba evidentemente tinteggiata che prima non portava. Allorquando Franceschini raggiunse la sommità dell'empireo ministeriale, Sgarbi dichiarò che 'ancora una volta, nonostante il mio agitarmi, vedo che è un altro ferrarese a fare carriera. Ma non lo invidio, e temo che mentre io continuerò a fare Sgarbi fra non troppo tempo Dario si ritroverà nelle condizioni di Veltroni e tornerà a essere Franceschini scrittore'. Un capovolgimento di posizione gerarchica che lo vedeva subalterno al ministro, restando egli impiegato ministeriale, evidentemente difficile da sopportare, tale da costringerlo a rassegnare nelle mani dell'amico di famiglia la lettera delle sue immediate dimissioni da soprintendente.
Per tutta risposta Franceschini infrangeva senza picconare con un colpo solo il sogno di portare le statue calabresi a Milano, affidandosi solerte al parere di una commissione (ma si è tratta di un atto amministrativo o politico? E se tale fosse non si potrebbe ricorrere in diritto per verificarlo ai sensi delle normative in materia?) che ne negava il trasporto. Per Sgarbi i membri della commissione avrebbero formulato una posizione politica mentre era stato posto un quesito tecnico. Lo stesso critico ha accusato il restauratore Bruno Zanardi, da lui direttamente indicato a Franceschini per la riconosciuta esperienza di restauro, colui che aveva dichiarato fino a pochi giorni prima che se l’uomo è andato sulla Luna non si capiva perché non si potrebbero spostare i Bronzi di Riace, di aver cambiato improvvisamente opinioni sulla fattibilità del postulato viaggio.
Ma adesso che Sgarbi avrebbe di che gridare, dopo aver elogiato sibillinamente la 'più misteriosa, sotterranea, complessa sensibilità di Franceschini, contro il proprio compaesano, lascia la briglia della polemica al solo governatore lombardo Roberto Maroni. Pare di sentirli quei Bronzi straccioni e calabresi, immaginariamente proiettati in una suggestiva atmosfera ferrarese. Surreali e fantastici si dice confabulano che a pagare saranno ancora una volta i calabresi, quel popolo di coglioni, la Calabria pezzente che 'a fronte di 5 milioni di visitatori previsti all’Expo, che avrebbero pagato un biglietto da 10 euro, avrebbe potuto beneficiare di 50 milioni di euro'.
Sgarbi e Franceschini, l'amara pantomima dei due Bronzi di Ferrara quasi sembrano le Muse inquietanti di De Chirico. Un dipinto in un solo quadro per illustrare la fine ingloriosa del prestigio culturale di un Paese infelice, davanti agli occhi esterrefatti del mondo intero.
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