di Vito Barresi
A Carnevale al Quirinale ogni candidato vale. E per lei o per lui che sia, un ballo in maschera sembra essere già pronto non per scherzo né per ironia. Si perché, proprio adesso che le iscrizioni alle danze e ai giuochi sono state ufficialmente aperte, nel mentre fervono tacitamente i traffici e le speculazioni sul nome e le speranze dei candidati a Presidente della bella ma acciaccata Nazione, è il cielo sopra Bologna che si scruta con attenzione, vuoi per ragionamento logico, vuoi per deduzione rigorosa, dopo certe prese di posizioni tenaci e alquanto ruvide sul 'bisogna ripartire da dove ci si è fermati', esternato come un sibilo all'uscita della metropolitana parlamentare da Pier Luigi Bersani.
Strani sguardi sotto casa del Professore, a due passi dalla sapida insegna dell'Infedele, cucina non di stato tipicamente felsinea, dove l'oste dicono non sia mai di buon umore, certo con qualche sospetto d'intrigo, trame, tranelli e tradimenti, ma sempre fiduciosi e ottimisti che il buono riesca ancora una volta ad ammazzare tutti i cattivi. Tuttavia l'anteprima del pellegrinaggio tra la via di Gerusalemme e il Colle sembra andare allegoricamente mimata in scena domenica altrove, al Teatro Comunale, laddove aleggia silente e intensa l'ombra di Prodi che attraversa, a passo di quinta fila, la platea in corteo della Parigi ferita a morte e vulnerata dal terrorismo.
Come un abbrivio all'opera verdiana ecco in controluce l'annuncio che la storia di don Riccardo, conte di Warwich, governatore in quel di Boston per il genio di Busseto, uomo politico contemporaneo di provata fede repubblicana e democratica nella riduzione 'postmodern and soap' di Damiano Michieletto, è attualistica di un messaggio nelle forme e nei numeri primi e certi , manifestazione politica di nuove maggioranze in onestà e coraggio istituzionale, anche al limite della disobbedienza civile, se si vuole affrontare la svolta di tutta un'altra storia.
Nel comitato elettorale di don Riccardo, che pur nel fisico ricorda gli anni ruggenti dei Cuor di Leone di democristiana memoria, c'è un crogiuolo di politica e passione, potere ed economia, racchiuso a parallelepipedo in un ambiente simigliante a un tinello Rank Xerox e una sala d'aspetto Unicredit, colto sul baratro di una sceneggiata, nella spiazzante scenografia di un riadattato melodramma, non garantente lo storico libretto di Antonio Somma su musiche di Giuseppe Verdi, ma che pur tuttavia libera nuovo e intenso energetico lirismo. Poi che dire se il pubblico fa finta di non essere sconvolto dal nefasto vaticinio di morte e turbolenta sconfitta, anatema e fatwa della Sibilla al suo tripode, fin quando gli amanti si ritrovano in un'auto-concessionaria dove la tragedia si tramuta in commedia, mentre Gregory Kunde in grande spolvero veste alla leggera i panni del saggio politico di onesta e specchiata carriera, a chi volete alluda lo scrosciante applauso del pubblico locale tributato al cantante americano, ben oltre ogni reazione del solito Isotta, se non alla momentanea incarnazione del proprio Romano per antonomasia?
S’aprono i cortinaggi al Quirinale. Vasta e ricca sala da ballo, splendidamente illuminata e parata a festa. Liete musiche preludiano alle danze; e già all’aprirsi delle cortine una moltitudine d’invitati empie la scena. Il maggior numero è in maschera, alcuni in domino, altri in costume di gala a viso scoperto. Chi va in traccia, chi evita, chi ossequia, e chi persegue. E siccome a Renzi lo schema che ha in tasca non gli basta, in cerca com'è di un progetto convincente, va da sé che Prodi, ha disertato senza indugio l'inaugurazione dell'anno accademico dell'Unibo, puntando per istinto non al pittoresco colore della celebrazione ma sul profilo basso, apparentemente 'low cost', dell'assemblea dei soci del Mulino, riunita in via straordinaria per affrontare in 'question time' la doppia emergenza sia della stessa casa editrice, dove parte della redazione di 14 dipendenti dovrebbe essere 'esternalizzata' in una nuova società, che di Carocci libri, in cui la proprietà minaccia il licenziamento di circa metà dei 32 dipendenti.
Quasi a rammentare al Matteo ('una vendetta in dòmino è ciò che torna all'uopo. Nell'urto delle maschere non fallirà lo scopo: e sarà un ballo funebre fra pallide beltà') contestato in piazza Maggiore dall'ordalia studentesca che lui continua a restar sollecito e ligio alle relazioni costruttive con i lavoratori e i loro sindacati di fronte alla crisi del mercato editoriale. Prudenza e cautela dietro il look del silenzio intrapreso in queste ore dal Professore davanti alla sua titanica e ultima sfida politica. Aspettando le mosse del partito da lui fondato, che potrebbe addirittura rinnegare al fondatore stesso della ditta, il patrio soglio di un settennato, già in atti nel proprio enorme curriculum vitae, al par di don Riccardo, tra poco scocca il tempo per indicar la rotta sulla mappa ove al solco che unisce e separa l'ambito primato Capitolino con i Colli bolognesi, risuona l'appello e l'inno ai suoi solidi amici dell'oggi e del dimani: “e voi del par diletti a me! Io deggio su’ miei figli vegliar, perché sia pago ogni voto, se giusto. Bello il poter non è, che de’ soggetti le lacrime non terge, e ad incorrotta gloria non mira.” Con ogni seguito da Loggione e Barcaccia dei fischi dell'antipolitica e le esaltanti ovazioni al decibel per la prossima diretta del concerto del Quirinale.
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