di Vito Barresi
Mediocri di tutti Italia, rassegnatevi. Disgustato dalle volgarità delle parole e da quelle facce melense che in queste settimane va vedendo e va sentendo, a proposito della prossima elezione del nuovo Presidente della Repubblica, nella sua ora di celebrità, Matteo Renzi dichiara di fronte alla platea europea la guerra lampo alla nauseabonda mediocrità di certo modo, concetto e impiego di fare politica in Italia.
E lo fa mandando un messaggio chiaro e forte di netta, totale e irriducibile avversione all'ormai insopportabile atteggiamento di infondata supponenza degli uomini politici di un altro tempo, al mondo umbratile dei loro sordidi portavoce e portaborse, velenosi giornalisti, sguscianti intellettuali, attori, cantanti e soubrette del circo mediatico che ancora li seguono e li sostengono. Sarà vera gloria o solo colpo d'artificio il tutto accade niente poco di meno che dal sacro basamento di un'irraggiungibile bellezza, il David di Michelangelo, trasformato, senza eccessive richieste d'autorizzazione, improvvisamente da opera d'arte tra le più belle mai create, marmo simbolo del Rinascimento e della città di Firenze, nel più fantastico, prestigioso, unico e personalissimo fondale foto-cine-televisivo per un incontro tra due capi di stato.
Una scelta inopportuna, si sono affrettati a polemizzare gli antipatizzanti, quella di ridurre a un palcoscenico, trompe-l'oeil mediatico, che svela la coccia e il malvezzo della politica senza etichetta, pronta a mandare al macero fior di critici e manuali, a tracimare ogni barriera di buon gusto e galateo artistico culturale.
E il Renzi che non ci sta oggi non scherzava neanche prima, allorquando da sindaco di Firenze, fu tenace difensore della proprietà comunale del David, ceduto nel 1871, con regio decreto, proprio al Comune a titolo di risarcimento per lo spostamento della Capitale d'Italia dalle rive dell'Arno a Roma, da parte dello Stato Sabaudo.
Tuttavia non sfugge che l'immagine mediatica di Angela e Matteo sotto il baluginante lucore di grande bellezza rischia di rimanere segnata da ambiguità ed equivoci, sottotesti immediatamente fruibili per la volgar-politik quanto strategicamente inafferrabili per i semiologi. Tutti primi indizi che si pongono sulla soglia sdrucciola di una estetizzazione della politica (o se si vuole di un avvio di 'politica estetizzante') che pure sembra mal dissimulare una certa sbrigativa e mirata strumentalizzazione dell'opera d'arte nell'epoca della politicizzazione universale.
Non più la copia della verità ma la verità stessa come trampolino di lancio della propria ascesa politica, non più l'imitazione o il falso d'autore (vedi il fondale del Tiepolo introdotto nelle conferenze stampa dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi), ma l'antidoto reale per contrastare la decadenza della nazione, in uno stato che almeno vanta di essere la più grande superpotenza artistico culturale del mondo globale.
Insomma aleggia l'italica paura, l'ansia che si specchia nelle cronache, di un ancillare uso del vasto deposito culturale del Bel Paese (come e quando sarà messo in vendita o dato in dotrazione all'Unione Europea?), un servo encomio al fascino e alla forza persuasiva del leader più che un servizio al bene comune delle Belle Arti e del Patrimonio artistico nazionale, che oscilla implacabilmente tra l'entusiasmo vittorioso di stampo nostalgico, tipo Eur mussoliniano, e il discutibile quanto, per certi versi, disgustoso utilizzo del bello come 'instrumentum regni', machiavellico espediente per connotare visibilità, edulcorare la brutta, bruttissima icona dei politici italiani ed europei.
Un successo del kitsch in politica? Un richiamo e un superamento persino di certo sgarbismo ormai giunto al limite della saturazione da talk show? Di certo si tratta di un debutto (o specularmente di un eterno ritorno) in grande stile delle statue, dei marmi, dei bronzi e quant'altro nello scenario della politica europea. L'encomiastica per non dire autoreferenziale narrazione di Renzi, che ha raccontato quando al grande artista domandarono come avesse fatto a scolpire David ('è stato semplice, è bastato togliere il marmo in eccesso; cioè quello che serve oggi: l’Italia ha da eliminare l’eccesso, soprattutto nella burocrazia') andrebbe, dunque, in proprio in questa direzione.
Ma per quanto freddi gli occhi di gesso apuano del David sembravano guardare altrove, oltre le teste vive e pensanti della Merkel e di Renzi. Verso Atene, genesi della scultura michelangiolesca, dove i greci del momento non vorrebbero di certo far la fine, in Europa, delle loro antiche e antenate Cariatidi, le donne di Karya, rese schiave dopo la sconfitta e la distruzione della loro patria.
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