di Vito Barresi
Ma qual è la metà della torta elettorale italiana che fa più gola agli analisti europei dopo il voto regionale in Italia? Non certo quella zuccherosa, edulcorata, caramellata e confettata di Matteo Renzi quanto l’altra metà senza crema pasticciera, cioè quella amara, decorata con le chiacchiere a zero. Una metà del ‘pan di Spagna’ rimasta asciutta che ha messo in evidenza il forte scossone strutturale, lo stress test subìto dalla democrazia elettorale e costituzionale, ormai a rischio di essere delegittimata dal convergere congiunto dell’astensionismo, della corruzione di sistema e dal sempre incombente voto di scambio. Tutti ingredienti che cambiano nel profondo non solo il sapore del prodotto finale ma sopratutto rischiano di manomettere, e non sempre surrettiziamente, sia le regole del gioco che la qualità della rappresentanza, sia il valore delle scelte politiche nazionali che le decisioni più ampie dello Stato.
Nonostante la più prudente, altrimenti riduttiva, lettura del Presidente Mattarella, secondo cui sarebbero ‘le liti esasperate a creare sfiducia, allontanando la partecipazione dei cittadini’, i giudizi che rimbalzano in Europa sono molto più severi e preoccupati di fronte a questa imprevista e inattesa involuzione del modello democratico italiano.
E ciò perché sarebbero proprio le regionali, prima ancora che le politiche, per l’Unione Europea, il banco vero di prova e controprova, su cui misurare lo stato di salute e di elasticità delle stesse istituzioni continentali che hanno nelle amministrazioni regionali i propri partner e interlocutori principali nel governo economico, nei flussi di gestione dei Fondi Strutturali, nei Programmi Operativi regionali, in sintesi il cruscotto dei grandi investimenti pubblici infrastrutturali dell’intera geografia territoriale della Comunità Europea.
A questo riguardo il test elettorale di Renzi è stato immediatamente giudicato a dir poco disastroso, affiancandolo alla sua già molto scialba gestione del trascorso semestre di presidenza europea. In buona sostanza se i Commissari dell’Ue dovessero dare un voto al decisore della politica italiana chiamato alla lavagna il loro sarebbe un pollice rivolto verso il basso, oscillante tra il rimandato a settembre e la piena bocciatura.
Con un tale tasso di astensionismo, infatti, accade che l’indicatore politico, economico, istituzionale più importante per Bruxelles, che è quello della coesione sociale, risulta fortemente intaccato messo a rischio da un processo di vera e propria disgregazione delle basi sociali e morali della democrazia, certificato inoppugnabilmente dai dati elettorali ufficiali, un tabellone nero dove campeggiano in rosso le cifre dell’autoesplusione fuori dal rettangolo di gioco di oltre la metà dell’elettorato attivo italiano, stabilmente in fuga dalle urne.
C’è, dunque, una pur sottile differenza tra le elezioni regionali appena concluse in Italia e le amministrative che si sono svolte qualche settimana addietro in Spagna? La differenza starebbe nella natura dell’attuale politica italiana, afflitta dal potere assolutistico di un ceto politico dispotico e antidemocratico che sottopone a piramide partiti ed elettorato al proprio rigido comando di scelta, selezione, cooptazione ed esclusione.
Defraudati dei propri diritti costituzionali di libertà, in quanto sottoposti agli ordini rigidi dei propri capi di partito (Renzi addirittura nel doppio ruolo di presidente del Governo e segretario di partito, Grillo con il suo potere di veto e di esplusione, Berlusconi con il carattere dissolutivo della sua amoralità, ecc.), esattamente la metà dei cittadini, la metà della famosa torta statistica elettorale, è costretta da tali capi a rinunciare al diritto basilare di ogni democrazia: il diritto al voto.
Le forze politiche che attualmente controllano il Paese appaiono esclusivamente interessate a conquistare il proprio potere e solo subordinatamente metterebbero in conto i grandi bisogni della società italiana.
La diserzione di massa della leva elettorale pone un problema enorme, chiama tutti ad una stagione del dialogo con i cittadini, per superare la logica dello scontro e della corruzione. E questo mentre i partiti si combattono tra loro con il solo intento di dividere gli italiani per meglio dominarli. Ora, si sente dire in giro tra la gente, ci sarebbe davvero bisogno del cambiamento, una spinta dal basso, libera, straordinaria, proprio nella logica della coesione sociale fin qui calpestata, una rinnovata unità popolare degli italiani.
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