di Vito Barresi
E adesso dopo ‘quer pasticciaccio brutto’ del funerale di Casamonica nella chiesa di Don Bosco chi è il marziano che si è perso per Roma? Ai romani sull’orlo di una crisi di nervi non parlate di Angelino Alfano che è, invece, sul precipizio di una crisi istituzionale.
Alfano, uno scandalo italiano. Questa l’opinione ormai diffusa in ampia parte degli analisti politici e degli opinionisti tra Europa e Stati Uniti, soprattutto dopo i ripetuti ‘lanci’ globali del New York Times (un’attenzione al Bel Paese mai tanto puntuale come in questi ultimi mesi dei cronisti statunitensi) e l’ampia copertura mediale planetaria su un uomo di ‘continuità istituzionale’ tra la ‘belle epoque’ del suo passato ‘patron’ Silvio Berlusconi e la nuova era del Magnifico Matteo Renzi.
Un ministro, dicono i detrattori che si schierano copiosi sia nel governo e all’opposizione, che altrove non avrebbe potuto resistere un minuto di più dopo la sequenza diluviale di crimini e misfatti, avvenuti a Roma e dintorni da quanto lui, il siciliano più potente d’Italia, siede saldamente sulla delicatissima poltrona del Viminale. Ma nelle ultime ore qualcosa sembra scricchiolare sulla ‘consolle’ del Ministero di Polizia. Uno sciame sismico senza ancora la scossa letale ma con ben chiari epicentri esterni e interni alla maggioranza che comanda Roma e il Paese. E ciò perché c’è qualcosa che non quadra nell‘happening’, con relative installazioni di piazza, un remake smaccato del Padrino, a cui mancavano solo come comparse le firme di ‘er Monnezza’, Piotta e Franco Califano, che è stato inscenato con dispendio di set holliwoodiano e nostalgie pasoliniane.
Febbrilmente si stanno passando al setaccio la cronologia, i momenti e gli eventi, le molteplici autorizzazioni tacite e in carta intestata di Enti e Corpi di Stato, le drammatizzazioni improvvise dei discorsi pubblici e delle conversazioni informali, in sintesi i ‘frame’ impazziti dello scontro al vertice, che si cela in filigrana nel fattaccio in carrozza del Principe de Curtis. Tutto nervosamente in atto tra Vaticano e Renzi. Un conflitto sullo sfondo del funerale incriminato, che pare sia andato improvvisamente ‘fuori controllo’, dopo le esternazioni alla ‘podemos’ contro la casta da parte di don Nunzio Galantino.
Lo stesso premier, si dice avesse chiesto lumi ai suoi assistenti, durante le ferie di Augusto, cioè di non comprendere bene da quale parte oscura, comunque a lui non chiara, venissero gli inusuali attacchi sferrati da Galantino. Tutto è teatralmente deflagrato come in un film. Poi lo sviluppo in diretta non di uno scarto di pellicola felliniana ma di una vera e propria scena madre da commedia barcarola. Una grana molto seria, che rischia di infangare persino l’immagine popolare del Santo Padre, a cui qualcuno dovrà spiegare, anzi giustificare, come mai nel mentre solennemente si prometteva che le truppe dell’Isis mai avrebbero issato il loro nero stendardo sul Cupolone, nel frattempo Alfano ha lasciato volteggiare liberamente nei cieli della Capitale un elicottero privato che ha cosparso di petali di rosa il feretro dell’ultimo Re di Roma.
Insomma uno smacco vergognoso che ha fatto improvvisamente salire fino alle grida, la voce pubblica che invoca le immediate dimissioni di Alfano.
Non solo perché il parroco rifiutando il ruolo di capro espiatorio, ha reagito sul proprio blog (‘se era così fuori norma, perché mai era a piede libero? Hanno aspettato la sua morte sperando che lo… “arrestasse” il parroco? Mio dovere è distribuire misericordia,m’insegna Papa Francesco. Ed è quello faccio. Credo di aver fatto solo il mio dovere. Sono un prete, non un poliziotto e nemmeno un giudice.’) ma anche dopo l’ammonimento del figlio del presunto boss, Luciano Casamonica, che ha apostrofato platealmente il ministro dell'Interno con la caustica rapidità di una secca battuta: "Se io faccio un matrimonio e prendo la Rolls Royce non è che c'è la mafia. Noi Casamonica abbiamo sempre fatto le feste alla grande, da quando siamo qui a Roma. Signor Alfano non siamo mafiosi, non siamo persone cattive".
Roma Capoccia in ore convulse, le stesse in cui qualcuno sta già lavorando a svelare testi e il sottotesti di un ambiguo e monitorio lutto privato trasformato in culto pubblico senza alcuna apparente autorizzazione delle forze dell’ordine. I traduttori di icone sono alacremente al setaccio di un capitolo oscuro, intriso di allusioni e infarcito di strani messaggi tutt’altro che subliminali, contenuti nei manifesti di lutto e di cordoglio. A chi erano realmente indirizzati quei richiami all’accesso senza alcun pedaggio tra i cieli del Paradiso? Ovviamente a chi ne ha le chiavi. Di sicuro non a Riccardo Garrone e Tullio Solenghi nella parte del custode dei Campi Elisi. O forse, a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, a quel San Pietro dei tempi attuali, che sta in terra d’Oltre Tevere? In breve, proprio a colui che in questa cronaca trash e truculenta, di sicuro non è quello fashion che gusta tranquillo il suo buon caffè Lavazza.
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