Volkswagen, fine di uno status symbol?

26 settembre 2015, 19:00 100inWeb | di Vito Barresi

di Vito Barresi

Volkswagen. C’è ancora da fidarsi? Volkswagen una cosa sicura? Golf, il meglio su misura? In primo piano si vedeva un prestigioso simbolo di status, che volentieri si lasciava ammirare, un bene di alto consumo che valeva per la sua bellezza, la linea davvero ideale, preziosa, inimitabile, una ricca e sofisticata dotazione. Ma ora che sapete quello che realmente è successo nella Germania dorata della ‘Belle Epoque’ del Cancelliere Angela Merkel, vi conviene davvero restare prigionieri nel ‘Motus Symbol’ di un raggiro colossale o uscirne per sempre rapidamente?

Allora, solo se volete, cominciate pure a ‘ribaltare il vostro punto di vista sul Diesel’ migliore del mondo dopo quanto è successo nello spazio infangato del ‘made in Deutschland’, dove 2,8 milioni di automobili circolanti in Germania sarebbero stati taroccati dai grandi imbroglioni del capitalismo automobilistico tedesco. Secondo le prime stime di massima circa un milione di veicoli anche in Italia sarebbero da passare a revisione immediata. Il tutto, è il caso di scrivere visto l’iperbolico impatto climatico negativo sulla striscia dell’ozono, per un danno stratosferico da addebitare ai magnati e ai manager del gruppo Volkswagen che, come raccontano stampa locale e media globali, erano adusi a dare garanzia totale in base a test truccati, effettuati e falsamente certificati su autovetture di cilindrata 1.200 nonché su specifici modelli di furgoni molto popolari.

Insomma, una voragine d’immagine che si sta aprendo su quelli che poi alla fine, scalando la solita montagna incantata di cavilli e protezionismo industriale, guadagnando insospettabili immunità attraverso segrete e labirintiche uscite laterali, potrebbero cavarsela senza pagare alcun pedaggio.

Per quel che si sa al momento ci sono le parole non di qualche vetero marxista, oppositore di strada nelle varie occupy metropolitane o dei black blok di turno ma dichiarazioni ufficiali, cautamente soppesate dal ministro dei Trasporti Alexander Dobrindt, secondo cui le manomissioni sarebbero senza dubbio ‘illegali’.

E’ proprio vero. Se c’è una cosa che non può mentire mai, paradossalmente, è soltanto la pubblicità. Anche se poi te ne accorgi soltanto un po’ di tempo dopo, come capita quando fai un numero di telefono che non esiste più, che tutta quella magia, quella momentanea attrazione teutonica era soltanto un imbroglio ecologico e tecnologico, punto e basta.

Allora rileggi stupito e basito quanto raffinata sia stata l’arte della menzogna industriale tedesca. Il verbo e la sicumera degli anonimi e irraggiungibili vertici del gigante automobilistico pubblicizzava, comprando stampa e propaganda, quotidiani irreprensibili e fogli in carta patinata, un modello Golf ‘rispettosa dell’ambiente come ogni Golf. Nuova, bella potente. E collaudata in modo disumano. Motore potente, scattante, prestante, appassionante. Intensa, generosa Volkswagen. Fidatevi della nostre emozioni’ .

Poi, che fine abbia fatto la persuasiva magia del loro Maggiolino tutto matto, era l’ultimo capitolo di un libro che speravamo non fosse mai stampato. Siamo alla fine di un capolavoro della bugia e della frode o di un mito industriale politicamente potente e ideologicamente in smagliante forma post fordista? Personalmente confesso sono stato un grande ammiratore di Golf. Una di quelle auto in cui i meccanici ci mettevano dentro abilmente le mani nel motore come se fossero a spasso nella mente degli ingegneri progettisti. Già, proprio il motore delle Volkswagen, quello che un amico di gioventù, stufo di Pallas Citroen, Due Cavalli e Peugeot varie, mi disse fosse un marchingegno d’acciaio che non si spegneva mai, sempre pronto a superare in scioltezza persino 500 mila chilometri. Insomma quelli eran tempi sì, in cui vinceva il confronto con lo champagne lasciandolo di ghiaccio.

In fondo si sa, per quanto è vero che il mondo dell’automobile è dominato da precise leggi fisiche, la legge delle prestazioni, quella dei consumi, quella dello spazio, il fattore Cx e via misurando, avrebbero dovuto, comunque, pensarci nel quartier generale di Wolfsburg, Bassa Sassonia, Hannover, a non sbandierare bugie in tutto il mondo. Quelle toccano a Pinocchio che un affare tutto toscano. Vale a dire che per la casa teutonica ci sarebbe in vigenza una legge superiore, che tutte le comprende e le supera, che stabilisce il grado di magnetismo, la forza di attrazione esercitata da un’automobile. Quella che alcuni studiosi alle loro dipendenze calcolano, semplicemente moltiplicando la simpatia per l’economia, dividendo lo spazio interno per l’ingombro nei parcheggi, aggiungendo ‘x’ pacchetti e un cane di grossa taglia nel vano posteriore, sottraendo i problemi di manutenzione, con il risultato che questa è una macchina Volkswagen. Pensiero non di mio conio, quanto semiotica pura dell’agenzia pubblicitaria Pericoli & Pirella. Invece per la Volkswagen, da oltre un secolo brillante esempio di questa astrusa legge teorica, questa volta i conti minacciano di non trovare alcun riscontro.

Adesso per l’economia tedesca i mercati globali sono a rischio enorme. Nella concreta applicazione della vita di tutti i giorni, sempre più clienti e persone, spesso senza nulla sapere di fisica automotiva, non subiranno più immediatamente l’irresistibile attrazione per la marca ma una furiosa repulsione negativa. Citando l’espressione straordinaria del genio italiano Daniele Ravenna per la campagna VW Golf, Motus Symbol batte Status Symbol” ora si può almeno dire che, anche davanti alla perfezione post moderna della Germania, non ci sono più fenomeni accettabili senza alcuna spiegazione.

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