Retweet > “Se volete spiegarvi le ragioni dell’assenza di una critica dell’industria alimentare, e della politica alimentare in Italia, potere rivolgervi a Scott Fitzgerard, laddove consigliava di chiedersi ‘chi paga i liquori della festa’. Le riviste e i media rigurgitano di pubblicità alimentare. Ciò crea un clima euforico, una festa appunto, di cui godono i vari settori. Se ‘Panorama’ pubblica un articolo sgradirto al signor Barilla, e il signor Barilla ritira la pubblicità, saprete subito chi paga i liquori della festa.” < Index Archivio critico dell’informazione
VITO BARRESI | Direttore di CAMBIO Quotidiano Social Online
Food and Mud, cibo e fango nell’anno di Expo 2015. Tutto cominciò con la bella Black Bloc, Rolex al polso di cui non conosciamo ancora il grazioso nome. Tutto finisce con uno spot inaspettato, una specie di remake cinematografico in tempo reale, come in un film famoso, con Totò, Carlo Croccolo e Sophia Loren, lo stemma internazionale del Paese, Miseria e Nobiltà.
Questa volta però non c’è la bella bambina che corre sotto la pioggia, che trova un gattino, che amorevolmente lo salva e lo porta a casa dove l’aspetta un bel piatto di spaghetti al sugo e una ciotola di latte padano. Quel che si vede impietosamente sono al contrario le foto negativizzanti sporcate di terra bagnata, zolle di grano duro ridotte a melma selvaggio, rovine moderne di un antico pastificio aperto nel 1846, quando i fondatori percorrevano le terre del Sannio alla ricerca delle bionde spighe della mietitura. Adesso l’atmosfera alla Bertolucci, l'incanto glorioso da film Novecento è per sempre svanita, perduta negli scatti fotografici postati sui social per chiedere aiuto e salvare lo storico pastifico dopo che un’onda d’urto ha cancellato il bel paesaggio meridiano, le solari campagne del sud e le madie maccheroniche campane, in cui le acque dei fiumi muovevano le macine dei mulini della famiglia Rummo, sfruttando con ingegno e passione i doni naturali dell’agricoltura tradizionale, per produrre la pasta proprio in via Dei Mulini. Memorie tramandate di generazione in generazione, di padre in figlio, che non si cancellano con un colpo di spugna. Dopo secoli tutto è stato improvvisamente travolto da un’alluvione devastante, che rimanda al sempre in agguato rischio idrogeologico, alla qualità della vita in tavola, al desiderio o bisogno sempre più diffuso ed avvertito di mettere in atto un cambiamento profondo negli stili della vita pubblica nazionale, nella scelta di una politica senza più furbizie, senza più retorici richiami alle risse di pollaio e ai buoni sentimenti.
Icona emblematica di una contraddizione universale, ma non per questo misteriosa o arcana, che la colpa si sa sempre di chi è realmente, proprio sul finire del tanto pubblicizzato successo italiano ad Expo 2015, ecco cadere letteralmente nel fango un simbolo del Made in Italy come la pasta. In questo caso quella fabbricata dalla ditta Rummo, da più di 160 anni, passione del gusto, cuore storico della città di Benevento, testimonianza di un'antica tradizione, sommerso dall'acqua. Il vecchio Mulino è un ricordo sbiadito. I lavoratori sono sui piazzali a spalare detriti, le macchine innovate trapassate da un torrente in piena, le maestranze inerpicate sui tetti per salvarsi.
La pasta è emblematicamente e materialmente la rappresentazione di come si costruisce da secoli in Italia un prodotto di valore che non ha eguali nel mondo e nella storia del cibo. La pasta è la più bella gemma della cucina italiana, un oggetto, una piccola scultura di farina, acqua e lievito che ci lascia sempre interedetti di ghiotta ammirazione. La dieta mediterranea ha dato ai primi piatti, alla italianissima pasta, un ruolo di regina, di assoluta centralità sia sulle tavole imbandite dei ricchi e dei potenti che su quelle povere e miserabili del Quarto Stato. Le aziende si sono sbizzarrite a inventare variazioni sul tema e i tipi di pasta (secca) si sprecano. Anche il mercato della pasta fresca, per quanto alle origini più defilato, ha conquistato un suo mondo che non gira più solo attorno alla produzione artigianale ma, dopo le grandi intuizioni di Giovanni Rana, lo specialista delle paste ripiene, siè imposto grazie alla catena del freddo fuori e dentro l'Europa.
Il fatto è che sia prima che dopo la vetrina globale di Expo 2015 a questo Governo Renzi è mancata una politica chiara e progettuale sul settore portante dell’Agroalimentare italiano. Una politica del food finalemente libera e non più vincolata alla regola delle tre A Automobile, Alimentazione, Arredamento. Per cui le strategie e le scelte politiche agroalimentari sono ancora totalmente sovrapposte, vincolate e confuse con il regime degli aiuti comunitari, nello schema di una agricoltura intensiva che appare ormai completamente slegata dalla proverbiale genialità italiana di saper coniugare artigianalità e mercato. Lasciando così campo libero ai grandi gruppi alimentari esteri che dominano e guidano il flusso delle produzioni e delle informazioni, comprano e svendono marchi e imprese nazionali, mettendole con pochi passi fuori gioco. Bene farebbero gli italiani ad aprire sia la bocca che gli occhi. Anzi a partire dalla vicenda Rummo a mettere le mani in pasta per salvare l’inestimabile patrimonio agro alimentare italiano sempre più attaccato dalla concorrenza sleale e da una disgustosa incompetenza del ceto politico.