CAMBIO | Messina città simbolo di dolorosa memoria. Una vergogna di Stato sotto ‘protezione incivile’

Retweet > Eccola Messina, che tra rovine e pianto “appariva di un bianco cadaveroso” come ‘un’immensa pietra sepolcrale nel posto dove una casa fu’, la domenica prima della solennità dei Morti, quella dopo il dramma della lunga siccità, questa mattina apparsa spenta e attonita. Quasi se tutti i messinesi, in questo 2 novembre dei cari ricordi e dei famigliari lari antichi, fossero tornati indietro in una terra defunta, sul bordo d’una città sepolta e di un popolo sparito, quello ‘dove i miseri, avvolti in panni raccogliticci, tremuli di freddo e di spavento, non narravano, ma canticchiavano, in un dialetto accentuato come una nenia funebre. A Messina la maglietta di Renato è bagnata d’acqua e di pioggia. Le camicie bianche ed azzurrine di questo Stato puzzando di corruzione, d'inganno e menzogne. Quanto possono ancora aspettare quelle fastidiose domande retoriche da rivolgere al ‘gotha’ istituzionale dei tre Grandi Siciliani?” >


Vito Barresi | Direttore di Cambio

Non in un non luogo qualsiasi è successo. Tutto potrebbe accadere e ugualmente trovarsi di fronte ai ritardi, alle carenze, alle sottovalutazione, ai guasti del passato, alle insufficienze sommarie della solite ‘protezioni incivili’ italiane. Ovunque ma non a Messina doveva o dovrebbe accadere che la rete pubblica di soccorso, la protezione nazionale, dimentichi, rimuova, cancelli il fatto che nella memoria storica del Paese, questa è la città simbolo del dolore, della catastrofe, della calamità e della sofferenza per eccellenza, insieme a Reggio Calabria, un’icona universale, la terra dove il terremoto marcato nell’inconscio collettivo con cifra indelebile 1908, fa agitare dentro l’animo di ognuno lo spettro della grande paura, il rigurgito di una frattura psichica profonda, posta all’ingresso immediato e compulsivo della coscienza di tutti. Un panico che la penna di un preciso cronista dell’epoca, G.A. Borghese, descrisse ‘un’afa di sospetto e di impreciso terrore che comincia a tormentare i loro nervi’.

Migliaia di persone in difficoltà, code immense di cittadini ad aspettare nelle rare piazzuole dove sono state dislocate le autobotti. E’ mancata una mappa di queste oasi, l’indicazione precisa ove siano poste. Uffici pubblici, scuole e università, sono rimasti chiusi con disagi che aumentavano di ora in ora nelle strutture ospedaliere ed esercizi commerciali.

A un certo punto la crisi ha minacciato di trasformarsi in un grave pericolo igienico sanitario. C’è stata la richiesta dello stato d’emergenza del sindaco, che a margine del vertice in prefettura annunciava l’impiego di 13 autobotti «per rifornire meglio le parti più fragili della città come ospedali e cliniche».

Una spaventosa macchina del fango e dell’accusa era già pronta a mettersi in moto contro il sindaco di Messina. Ma Renato Accorinti tutte le colpe avrà tranne proprio questa. Lui regge al tentativo dell’alea feroce, reagisce d’istinto alla rozza strategia della tensione di chi vorrebbe scaraventargli addosso la colpa, lui l'unico sindaco italiano che il 4 di novembre protesta viso a perto contro i vertici dell'Esercito, l'inutile macchina militare sovvenzionata dal Bilancio dello Stato, sempre attaccato al proverbio popolare ‘male non fare paura non avere.

Lo hanno lasciato solo non da oggi ma da sempre. Fin dall’inizio del suo mandato. Ai siciliani che contano, quelli che come Mattarella diventano Presidente della Repubblica, Capo dell'Esrcito e della Magistratura, quelli come Alfano che sono vicepresidenti del consiglio sia di Berlusconi che di Renzi, sia della destra che della sinistra, quelli come Grasso grande Eccellenza antimafia che sale alla poltrona di presidente del Senato, questo sindaco con le T shirt è sempre apparso come un animale strano, per loro proprio quel che dice di volere essere cioè un plebeo, un pezzente, un cafone del sud a cui manca solo il carrettino siciliano, la coppola e la maranzana, che al massimo può stare in qualche pagina per loro ridondante e inutile di Verga, Sciascia, Pirandello, Turi Vasile.

Non fategli domande retoriche a questi Gran Signori Siciliani che comandano lo Stato a Roma ma fatele invece al sindaco pacifista che ha lottato da sempre per i beni comuni come l’acqua. Dicono di lui che ha qualche scusante, non potendogli imputare lo smottamento avvenuto su una montagna che sta altrove in territorio catanese. Praticamente come nei romanzi di Ferrandino tutto il potere politico, amministrativo e gestionale che sta nel cerchio chiuso del Pd e di Renzi, ha cercato di metterlo nel mazzo. Magari per farlo dimettere e metterci qualche testa di legno prefettizia, gli hanno subito offerto tutta la responsabilità di affrontare un’emergenza insorta fuori da ogni sua competenza comunale.

Nient’altro che la copia esatta della favola del lupo e dell’agnello. I lupi lo hanno interrogato tramite telecamere e microfoni per chiedergli perhè mai gli agnelli avessero prosciugato l’acquedotto magari avvelentato anche l’acqua pulita dei pozzi politici di stato. Una fiducia finta solo per sottrarsi successivamente e furbescamente dalle proprie responsabilità davanti ai messinesi. Candida la Protezione Civile siciliana ravvisante in tuta mimetica che “bisognava agire prima a Messina per affrontare questa grave emergenza. Sarebbe stato opportuno comprendere realmente le dotazioni del Comune e immediatamente chiedere supporto, perché la logica del sistema di Protezione Civile è che insieme si può fare più del singolo. E’ questa la forza del sistema. Non bisogna avere alcuna remora a chiedere aiuto, quando c’è necessità di aiuto“.

Solo dopo vari giorni senza acqua “il Dipartimento Regionale della Protezione Civile Sicilia, in stretto raccordo con la Prefettura, si è attivato per supportare il Comune nella definizione di azioni utili al superamento della crisi idrica in atto, reperendo autobotti dal sistema regionale di protezione civile per incrementare la dotazione dell’autoparco comunale e provvedendo all’affidamento di un servizio di fornitura idrica attraverso nave-cisterna della capacità di 5000 mc. che diverrà operativo nelle prossime ore”. Dopo sei giorni, da quando una frana causata dalle prevedibili piogge autunnali aveva messo fuori uso l’acquedotto di Fiumefreddo che fornisce l’80% (920 litri al secondo) dell’acqua necessaria per la città dello Stretto non vi era ancora goccia. La tubatura era stata riparata, “ma – comunicava l’AMAM, l’azienda meridionale acque di Messina – le riparazioni sembrano non essere sufficienti e, poiché ancora ci sono problemi per nuovi piccoli smottamenti a Calatabiano, per i prossimi giorni l’erogazione dell’acqua non verrà ripristinata”.

Twitter: “#MessinaSenzaAcqua, qui risparmiamo anche le lacrime… L’acqua serve” e ancora “Non ci resta che il mare. Città in lenta agonia” e “Anno 2015. Messina. Sicilia. Abbiamo Netflix ma ci manca l’acqua. Terzo Mondo. Abbandonati a noi stessi”.