di Gisberto Trevisan
La ripresa realmente non c’è. Questo emerge dai dati diffusi sia in sede europea, dove secondo Draghi “la ripresa nell'Eurozona prosegue moderatamente e i rischi al ribasso da crescita e commercio globali sono chiaramente visibili” sia in Italia dove rallenta bruscamente la crescita e il Pil nel terzo trimestre registra uno stentato +0,2%, al di sotto delle aspettative.
Da un po’ di tempo a questa parte il primo ministro Renzi spera in troppe cose. Così alla fine se ne esce esternando un desiderio di felicità che è ancora aleatorio. A lui tocca di mestiere la professione di fede nell’ottimismo. Ma dai fatti economici in atto la rete del profitto non ricaverebbe neanche un ragno dai molteplici buchi in cui è ridotta. Sebbene le previsioni si dimenticano facilmente a Renzi non resta altro che giustificarsi con ‘io speriamo che me la cavo’ tradotto nella seguente dichiarazione d’agenzia: ‘speravo nell'0,3 ma è il terzo trimestre positivo e il dato di fatto è che nell'ultimo anno il pil è cresciuto dell'0,9, una striscia molto positiva ma certo bisogna fare molto di più. Saremo felici quando il Pil sarà vicino al 2 per cento’.
Se davvero la felicità è così piccola cosa quel che lascia pensare è la diffusa sensazione che ormai il Paese è vicino a quella soglia di pericolo che lo delimita con il rischio reale di un prossimo collasso economico nazionale. La classe media italiana, assioma socio economico centrale di una possibile ripresa si sta rapidamente spegnendo come una candela ridotta al lumicino. Secondo una recente indagine svolta su committenza assicurativa il 71% degli italiani si sente esposto a rischi nella vita quotidiana, mentre oltre il 60% dichiara di "avere l'impressione di essere circondato dai pericoli". Un'insicurezza che grava sul presente ma anche sul futuro, con il 26,4% fermamente o abbastanza (52,6%) convinto di non aspettarsi nulla di buono.
Mai nella storia dell’economia italiana il commercio ha toccato livelli tanto bassi, drasticamente crollato anche nel settore alimentare, incagliato in una recessione che solo a spasmi emana qualche flebile segnale. I prezzi del paniere della spesa sono cresciuti cinque volte in più rispetto alla media.
Generi alimentari, prodotti per la cura della casa e della persona segnano +1,5% su base annua, contro un tasso d'inflazione allo 0,3%. Il debito pubblico è aumentato in settembre di 7,0 miliardi, a 2.191,7 miliardi. Praticamente tutti gli operatori del sistema, a ogni livello della struttura economica, hanno capito che non c’è domanda di beni e servizi in tutto il territorio, al Nord, al Centro e tanto meno al Sud. La crisi fa galleggiare l’Italia come un appendice europea nel mare infuocato del Mediterraneo. Scendono altri indicatori come ad esempio il volume del trasporto ferroviario e quello delle esportazioni ormai rarefatte, non c’è scambio di materie prime. Chiaramente qualcosa di molto grave è già accaduto nel sistema economico italiano. La domanda di lavoro rappresentata soprattutto da contratti a tempo indeterminato resta al di sotto di ogni plausibile aumento significativo dell’occupazione.
In quel che resta dell’industria non c’è più turn-over. Il grande potenziale nei servizi di cura e nelle attività ambientali, resta inespresso perché mancano le risorse per far crescere l’occupazione e il bilancio dello Stato non ha disponibilità. Il credito non è affatto concesso nel mentre sia le famiglie che le imprese ne hanno bisogno. Sono ormai milioni gli italiani che si trovano nella lista nera delle banche considerati soggetti a rischio.