Retweet > L’accusa è pesantissima. Uno di quei capi d’imputazione da far tremare i polsi anche a chi sta seduto tra i più alti vertici dello Stato. Nella fattispecie concreta la Polizia di Stato, letteralmente sconvolta per la 'notizia criminis' che cade in testa addirittura al responsabile di una delle più importanti cabine di regia nella lotta contro il crimine. Nel dettaglio al capo dello Sco, il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, l’ufficio investigativo specializzato nel contrasto della grande criminalità organizzata e comune, compresa l’infiltrazione nei settori dell’economia e della finanza, inserito nella Direzione centrale anticrimine e diretto dal dirigente superiore, Renato Cortese. Un brillante poliziotto calabrese che si è distinto nelle più complesse e pericolose indagini su Cosa Nostra, ‘ndrangheta e Mafia Capitale, oggi al centro di una delicatissima inchiesta a carattere internazionale che aveva già scosso il Governo Renzi, fino a portare il Ministro degli Interni Alfano sul precipizio delle sue dimissioni. L’imputato è chiamato a rispondere di un reato tra i più odiosi e raccapriccianti, quello di sequestro di persona, che per chi viene da una terra come la Calabria, dove ancora si sconta il pregiudizio per l’immane e incancellabile rimorso dei grandi sequestri, da Paul Getty a Marco Fiora, da Cristina Mazzotti a Cesare Casella, sfiora persino il drammatico limite morale dell’infamante. Sì perché Renato Cortese, a cui i pm di Perugia contestano, assieme al questore di Rimini Maurizio Improta e ad altri 5 poliziotti e al giudice di pace Stefania Lavore, le gravissime implicanze del caso Shalabayeva, e cioè che il 31 maggio del 2013 avrebbero sequestrato la moglie del dissidente kazako Ablyazov e sua figlia di sei anni nella villa di Casal Palocco a Roma e, successivamente, le avrebbero espulse, con un provvedimento di rimpatrio viziato da "manifesta illegittimità originaria", non è certo un poliziotto qualunque. Come si racconta in un’intervista storica effettuata in quel di Reggio Calabria nel non lontano luglio del 2010. >
Vito Barresi | Direttore di Cambio
Renato Cortese, 50 anni, calabrese originario di Santa Severina, nonostante il pasticciaccio brutto della Shalabayeva, resta un uomo di spicco al servizio dello Stato e del Ministero degli Interni per essersi sempre distinto con le sue doti di coraggio, intelligenza, preparazione e intuito, come attestato in curriculum e pubblicistica sia dalla cronaca corrente che nella storia della lotta alla criminalità. Fu lui infatti che nell'aprile del 2006, al comando della catturandi di Palermo, dopo aver circondato il casolare di 'Montagna dei cavalli', a pochi chilometri da Corleone, arrestò Bernardo Povenzano, latitante da 46 anni.
Poi il 15 giugno del 2007 raggiunge Reggio Calabria, dove risolve brillantemente le indagini sulla strage di Duisburg con l'arresto di Giovanni Strangio.
Ebbi modo di intervistare nella sua stanza di Questore di Reggio Calabria, Renato Cortese che ricordo attento e preciso, intenso e impegnato al fianco dell’allora Procuratore nella città reggina Giuseppe Pignatone.
Un magistrato importante arrivato nel capoluogo calabrese, dopo aver lavorato a lungo a Palermo, dove aveva fatto catturare Bernardo Provenzano, trovandosi presto sotto la pressione dei capibastone che aveva contribuito a ferire insieme agli uomini che dirigeva. Minacce, lettere intimidatorie, proiettili recapitati come avvertimenti, un bazooka e perfino un fiat Marea nera ricolma di armi fatta ritrovare sulla strada che doveva percorrere il presidente della repubblica Giorgio Napolitano.
In quegli anni fu possibile immaginare un mondo senza più la mafia, tanto che nel paradigma della ‘neo-‘ndrangheta’ l’unica cosa che non potè più esistere divenne il passato. Più che sognare di diventare ‘gangster’ nella ‘neo-’ndrangheta’ il destino degli affiliati sarà imparare a muoversi dentro gli schemi automatici dei congegni tecnologici. Quello tra il procuratore Pignatone e il commissario Cortese resta ancora oggi un sodalizio significativo basato sul pieno e reciproco rispetto professionale e personale. A titolo di approfondimento e analisi rileggiamo un’intervista a Renato Cortese, effettuata nel 2010.
INTERVISTA DI VITO BARRESI A RENATO CORTESE
Lei è stato nel fortino dei vecchi padrini siciliani. Tra fiction e realtà qual'è la distanza?
Beh, è abissale e non si può fare un confronto. La realtà è sicuramente diversa, purtoppo, spesso, da quella che viene raccontata dalle fiction.Dal punto di vista della criminalità il meridione d’italia è una realtà drammatica. E non è soltanto l’aspetto delinquenziale, tra virgolette militare come lo chiamiamo noi, ma è una realtà che attraversa tutti i settori della vita sociale. Una realtà drammatica perché tocca in primo luogo gli stessi spazi democratici e di libertà del cittadino meridionale.
‘Iddhu’. La cattura di Bernardo Provenzano. Questo il titolo del libro in cui racconta uno dei momenti più importanti nella storia dell’anticrimine degli ultimi trentacinque anni.
Ma guardi, quel libro ha ricostruito le fasi delle lunghe indagini, quasi otto anni, che hanno avuto come obiettivo il personaggio Provenzano, il mito dell’invincibilità e dell’imprendibilità. Poi è chiaro che ci si è concentrati di più sulle fasi finali di queste indagini. Dove in realtà l’ultimo anno, l’ultimo segmento investigativo che è stato poi cruciale che ha portato alla cattura è stato raccontato con particolare enfasi, perché in realtà si trattava di raccontare l’aspetto più importante di queste indagini. Lasciamo stare le lungaggini, le difficoltà e la complessità investigativa. Il territorio difficile, la copertura sociale che ha caratterizzato una latitanza di quarantatre anni del soggetto. Ma poi si trattava soprattutto di raccontare l’elemento emozionale, il ‘pathos’ che ha un po’ caratterizzato tutti gli uomini e donne del gruppo che hanno lavorato per questo obiettivo. Per quanto mi riguarda è stata questa la carta vincente. Cioè l’aspetto motivazionale, la passione messa nel lavoro. Perché altrimenti non si riuscirebbe a giustificare quante giornate e quante notti passati su quell’obiettivo, quanti Natale sacrificati e quanti Capodanno non passati saltati nelle famiglie da parte di tutti i componenti del gruppo. Questa spinta motivazionale è stato il messaggio che si è voluto dare anche ai giovani di voler credere negli obiettivi perché quando si crede veramente in un obiettivo prima o poi lo si raggiunge sempre.
Criminalità e organizzazione della latitanza. E’ questa la sua specializzazione. La struttura del crimine come è cambiata dal tempo della tradizionale ‘onorata società’?
L’aspetto storico credo che sia pressochè, ahimè, invariato. Perche queste forme di criminalità risentono di uno spaccato storico, una tradizione, risentono di antichi riti che purtroppo ancora oggi sono radicati sul territorio, in Calabria ancor più che nella Sicilia. Per cui sicuramente hanno origini lontani, sono risalenti nel tempo e hanno una forza in questa radice storica che ancora oggi li rende praticamente forti e pervasivi sul territorio. Però le cose sono cambiate. Oggi siamo nel 2010 purtroppo ancora a parlare di questi problemi ed è questo che ci rende sconfortante l’affrontare queste tematiche di criminalità. I successi nella lotta alla mafia sono evidenti E’ sotto gli occhi di tutti. In Sicilia, in Calabria, in Campania. Chiunque sente ogni mattina la radio parlare di operazioni di Carabinieri, della Polizia, della Guardia di Finanza di questa o quella Magistratura, di questo o quel territorio. Uno dovrebbe chiedersi ma come mai nonostante tutti i successi ancora non si riesce a sconfiggere? La risposta va cercata nel fatto che queste organizzazioni non sono soltanto delinquenziali e militari ma hanno una sorta di componente culturale, di consenso sociale, di collusione con la politica che rende difficile il loro definitivo sradicamento. Oggi mafia e ‘ndrangheta è economia, complicità con i ceti sociali dei colletti bianchi. Mi riferisco a quella è diventata la borghesia mafiosa, non soltanto a quello con la coppola e con la lupara che paradossalmente quello è un aspetto più facile da battere, e lo stato dimostra quando vuole che si riesce a tirare fuori il latitante, ad arrestare i delinquenti, icriminali, mafiosi o ‘ndranghetisti. L’aspetto un pò più complicato è quando bisogna rintracciare le forze economiche di questa criminalità che sono nascosti in settori che stanno apparentemente lontani però poi quando si guarda in controluce si vede che sono intrise di mafia e di ‘ndrangheta.
Dopo la strage di Duisburg quali gli intrecci tra Germania e Calabria?
Gli intrecci sono sempre quelli relativi alle forme di ramificazione della ‘ndrangheta in maniera spaventosa. Non soltanto in Germania ma riteniamo in tutta Europa e anche oltre. Parliamo del Sud America, del Canada e dell’Australia. Credo che questa forma di criminalità sia l’unica al mondo per capacità espansiva, per potenza economica, probabilmente anche sulla basa di ragioni storiche legate all’emigrazione, di ramificazione edi insediamento dei calabresi in tutto il mondo. Questo ha fatto si che in Germania in particolare si radicassero strutture proprie di calabresi a tal punto da potere parlare di ‘locali’ di ‘ndrangheta’ nel senso tecnico del termine. Addirittura a Duisburg, sulle sponde del Reno, si erano creati i due gruppi contrapposti dei Nirta-Strangio e dei Pelle-Vottari come se fossero a San Luca. Avevano riproposto le stesse contrapposizioni. Dopo Dusiburg il probela si è notevolmente ridimensionato. Sono stati arrestati gli esponenti più autorevoli della famiglie coinvolte nelle famosa faida. Quello che è ritenuto allo stato il responsabile di quella strage è stato assicurato alla giustizia, avendolo cercato in tutta Europa e catturato in Olanda, ad Amsterdam. Per cui ritengo che lo stato nell’aspetto della repressione abbia dato la sua risposta. Tutto questo è servito ad eliminare una faida che durava da diciassette anni a San Luca. Ora serve che altre componenti dello Stato non solo quella repressiva protagonisti della vita sociale facciano la loro parte per contribuire ad avere più fiducia nello stato in questi territori che spesso anche in maniera concreta e non solo apparentemente sono anche abbandonati.
Si torna a parlare patti scellerati tra lo stato e la mafia. Dossier invisibili, X-File, o solo un inquietante risvolto di una vita nazionale che bisognerebbe rimettere in ordine?
Ma guardi la storia d’Italia purtroppo è fatta di misteri e a volte di pagine oscure non facilmente intellegibili.Di sicuro la storia ci dimostra come le grandi criminalità iun questi settori del meridione sicuramente sono strusciati o scesi a patti con settori ovviamente deviati dello stato. Ci auguriamo tutti che le nuove indagini che si sono aperte possano portare alla luce quella che è stata la verità di quegli anni anche perché il cittadino che voglia affrontare oggi con serenità e fiducia nei confronti dello stato che voglia affrontare il futuro debba conoscere quello o che è stato il passato.
Come utilizzate questi strumenti e tecniche innovative nelle investigazioni?
La tecnologia va di pari passo con quella usate dalla criminalità organizzata. Questi utilizzano internet e skipe, fanno transazioni bancarie abbastanza evolute è chiaro che anche gli apparati investigativi e di contrasto devono adeguarsi. Qualunque tecnologia deve essere comunque utilizzata e adoperata sempre secondo il vecchio principio dell’intuito, della correttezza e del rispetto delle legge da parte dell’investigatore.
Qualche considerazione sul Porto di Gioia Tauro
Il Porto di Gioia Tauro è uno dei più grandi del Mediterraneo. Milioni di containers arrivano durante l’anno. E’ uno dei bacini fondamentale, uno snodo internazionale di primo livello.Questo è sicuramente un vanto per la Calabria, dal punto di vista economico e produttivo. Dal punto di vista della polizia giudiziaria c’è la massima attenzione. Negli ultimi tempi sono stato rinvenuto e sequestrati grosse partite di cocaina. I cartelli del crimine organizzato utilizzano questo porto per fare arrivare droga, armi e quant’altro. Questo c’impone una ulteriore riflessione sulla sicurezza del porto e ci mette quotidianamente davanti a tecnologie sempre più sofisticate per esercitare un controllo sempre più capillare nel porto con il fine di assicurare il suo massimo sviluppo economico.
Renato Cortese, a policeman at the top in the Mess applicable Shalabayeva - The charge is very heavy. One of those charges against him to shake the wrists of those who are seated among the highest levels of the State. In the specific case the State Police, literally shocked by the charge that falls on his head even to the head of one of the most important control rooms in the fight against crime, in detail to the Head of the SCO, the Central Operations Service of the State Police , the Office of Investigation specializes in combating serious organized crime and policy, including the infiltration in the fields of economy and finance, and inserted into the Central Anti-Crime Department directed by the senior executive, Renato Cortese. A brilliant cop who distinguished in the most complex and dangerous investigation of the Cosa Nostra, 'Ndrangheta and Mafia capital now at the center of a delicate investigation of an international nature that had already rocked the government Renzi, until the Minister of the Interior on the precipice of Alfano his resignation. The accused is called to respond to a crime of the most heinous and gruesome, to kidnapping, that if you come from a land such as Calabria, which still reflects the enormous and indelible remorse seizures defamatory, Paul Getty Marco Fiora, by Cristina Mazzotti Cesare Casella, touches even the dramatic moral limit dell'infamante. Yes because Renato Cortese, in which the prosecutor of Perugia dispute, together with the superintendent of Rimini Maurizio Improta and 5 other policemen and the magistrate Stefania Lavore, the very serious implications of the case Shalabayeva namely that 31 May 2013 would have seized the wife of dissident Kazakh Ablyazov and his six year old daughter in the villa in Casal Palocco to Rome and then they would have expelled, with a return decision tainted by "manifest unlawfulness original", is not a cop any, in how we tell ' interview carried out at that historic Reggio Calabria in July 2010 not far. _vitobarresi@