Tra gli islam-rapper dei ghetti e di periferia che inneggiano al Daesh e i rocker d’antan che appena odono il crepitare atroce delle mitragliatrici se la danno a gambe levate, abbandonando il palcoscenico in preda al panico, per rifugiarsi al sicuro nel fortino del backstage, c’è forse qualcosa di più di un grande contrasto musicale e umano, la paura e la sicurezza contro l’orrore e il nichilismo, che va oltre ogni scontata demarcazione dello scontro di civiltà? Scene a fermo immagine, giovani e ragazze immobili, di barbe e di tuniche che bazzicano sempre più spesso attorno alle moschee e che passano le giornate appoggiati a un muro in attesa di un lavoro. Tanti muri che diventano il totem delle periferie e delle banlieau dove campeggiano vistose scritte con ‘Viva l’Isis’, tra bandierine del Califfato e versetti del Corano. Ogni specchio era destinato a rompersi. Avevano voglia di godersi la metropoli prima di raggiungere il loro assurdo paradiso. Rap e graffiti tra il quartiere di Saint Denis a Parigi e il Molenbeek di Bruxelles dove si formano i jihadisti francofoni, si sono non solo metaforicamente ma antropologicamente e sociologicamente scontrati come su un ring insanguinato, in un combattimento frontale e diretto. Agli islam-rapper non interessa più la musica per uscire dai ghetti, emanciparsi, andare oltre quei quartieri. Tutti sono ormai già sospinti nel baratro della violenza e del fanatismo. Gli islam-rapper sono giovani, dissacratori dei valori occidentali, pronti ad uccidere e a farsi ammazzare, a morire per delle idee che non sono una causa giusta ma solo il nichilismo sfregiato di un esistenzialismo rifiutato. I rocker invece sono penne bianche, pantere grigie, vecchi e canuti che a mala pena riescono ancora a ricordare quanto stava scritto sulla chitarra di Woody Gutrie, uno dei più convinti e radicali cantautori della musica americana. Parole messe in vista e a bella mostra, ‘This machine kills fascists’ , questa macchina ammazza i fascisti.
_vitobarresi@DirettoreCamBio
Scritto e detto senza alcuna fatua ironia, quel che si racconta e si riflette in questo pezzo è che il rock, per riecheggiare seppure parzialmente una sempre più vasta fetta d’opinione giovanile, questa volta ha fatto cilecca davanti ai tragici avvenimenti parigini, incapace com’è stato di porsi immediatamente contro come negazione e risposta, all’attacco infame che terroristi hanno portato al pubblico degli appassionati e dei fans di questo storico e mitico sound.
Un’impressione, rivelatasi tutt’altro che episodica, e che è andata rapidamente consolidandosi nel giro delle poche ore successive al devastante sacrilegio di vite umane avvenuto in una Parigi da mesi ormai fuori controllo, di fatto in preda di vere e proprie bande armate organizzate di jihadisti francesi. Allorquando, con il passare dei giorni e delle settimane un vuoto assoluto ha finito per rimarcare l’ombra di uno sfavillante palcoscenico calcato da un rock universale che non ha avuto alcuna lacrima da versare per piangere, commuoversi, stringersi in una solidarietà collettiva ed epocale davanti alla morte ingiusta delle innocenti vittime del Bataclan. Riaffacciandosi, forse con evidente ritardo secondo una critica che ‘mormora’ nel retroscena ma che per interessi industriali ancora tarda ad esprimersi liberamente, sulla scena parigina, gli Eagles of Death Metal altro non fanno che far tornare indietro il solco e il pick-up, proprio al frame in cui se la squagliano atterriti nel mentre nel Bataclan, tre terroristi facevano irruzione sparando senza alcuna pietà su un pubblico ignaro, falciando ben 89 persone. I terroristi hanno scelto di attaccare una sala concerti, trasformano la musica in una tragedia.
Quella sera al Bataclan gli Eagles of Death Metal, che non sono né heavy né death metal stavano suonando rock americano nel senso più classico del genere. Per cui ogni volta che il leader della band Jesse Hughes racconta quello che è successo occorrerebbe che i tecnici al montaggio apponessero come sottopancia una frase tipo...‘la mia banda suona il requiem’.
La loro tournée fu subito annullata, il gruppo rientrò precipitosamente negli Stati Uniti. Come anche i Deftones, altra band americana che si trovava nel cartellone del Bataclan e che avrebbe dovuto suonare sempre in quella sala, la sera successiva. Dopo l’eccidio tutte le star del pop e dl rock hanno annunciato con triste litania annullamento e rinvio di tutte le loro date francesi. A partire dagli U2, che avevano un concerto a Parigi il 14 novembre. E poi anche Editors, Rudimental, Motorhead. I britannici Coldplay hanno rinviato il loro concerto a Los Angeles in segno di rispetto, mentre i Foo Fighters hanno addirittura cancellato il tour.
La fine del Rock, troppo spesso annunciata tanto da non essere più credibile, è apparsa verosimile, quando senza alcun trasferimento delle ostilità si è appreso che tutti i concerti dei ’Motorhead' in Francia erano stati sospesi, posticipando la presentazione del loro ultimo album “Aftershock” al mese di gennaio 2016. L’atteggiamento dei vari rocker è apparso sempre di più come il crollo di un mondo di memorie, allucinazioni, muri grezzi tirati su in fretta o crollati sotto il peso di sogni infranti. Nello scontro frontale tra gli islam-rapper e i rocker i primi sono andati alla morte armati di odio e di follia. I secondi invece sono fuggiti in preda al panico e alla paura.
E mentre le gemelle Le Pen vincevano le elezioni amministrative il Rock falliva ancora una volta la sua ultima impossibile missione di salvar il mondo dal Jihad. Nonostante per evitare che i concerti finiscano come gli stadi vuoti sia pure partita una campagna promozionale della cover di Save a Prayer e i Duran Duran, protagonisti del pop anni ’80 che detengono i diritti del brano, abbiano promesso che devolveranno tutti i proventi in beneficenza per solidarietà alle vittime dell’attentato.
The Rock coward who has no tears to cry fans of Bataclan - Among the Islam-rappers and suburban ghettos that extol Daesh and rockers of yesteryear who just hear the crackle of machine guns atrocious take to their heels, abandoning the stage in a panic, to take refuge in the fort safe backstage over the clash of civilizations is there something more than a great musical and human contrast, fear and security against the horror and nihilism, that is beyond obvious demarcation of the clash of civilizations? Scenes in still image, young girls and motionless, beards and robes that hang out more and more often around the mosques and who spend their days leaning against a wall waiting for a job. Many walls that become the totem of the suburbs and banlieau where graced showy written with 'Long live Isis', between the flags of the Caliphate and verses of the Koran. Each mirror was intended to break down. They want to enjoy the city before reaching their absurd paradise. Rap and graffiti in the neighborhood of Saint Denis in Paris and the Molenbeek district of Brussels where you are born jihadists are not just metaphorically but anthropologically and sociologically clashed as a ring bloodied in a fight between rapper direct front bearded and with tunics. They do not care more music to come out from the ghettos, emancipate, go beyond those neighborhoods. All are now already pushed into the abyss of violence of fanaticism. The Islam-rappers are young, desecration of Western values, ready to kill and be killed, to die for ideas that are a just cause but only the nihilism of a scarred existentialism refused. The rocker instead are white feathers, gray panthers, old and hoary that love them worth remember what was written on guitar Woody Gutrie, one of the strongest and radical songwriters in American music, put on view and beautiful exhibition 'This machine kills fascists' . _vitobarresi@