Polemiche per il provvedimento annunciato dall’ex ministro degli interni Roberto Maroni, attuale Presidente della Regione Lombardia, che intende introdurre ‘motu proprio’ il divieto della dissimulazione del viso a livello regionale (e ovviamente indirettamente nazionale). Secondo le dichiarazioni dell’uomo politico leghista, già delfino del gruppo capitanato da Bossi e Belsito, la Giunta lombarda nella riunione "di venerdì" vieterà espressamente, in base alla legge nazionale, di entrare negli ospedali "con il velo, il burqa e cose del genere". Il governatore Roberto Maroni ha confermato che loro avrebbero ‘un regolamento che stabilisce le condizioni per entrare negli ospedali che non prevede espressamente di vietare l'ingresso a chi è mascherato o porta il velo. Ma la legge nazionale c'è e lo adegueremo". Già nel 2012 vi fu un caso giudiziario a Torino che accese in Italia la polemica sul burqa e il niqab e sul diritto all'espressione religiosa. Ma quali sono le ragioni di questo ritorno di fiamma sull’argomento? Si tratta proprio di un problema di sicurezza? L'11 giugno di quell’anno la Procura di Torino decise di archiviare il caso di una donna islamica accusata da un cittadino di indossare in pubblico un indumento tradizionale che la nascondeva agli occhi degli altri. L'accusa si basava sulla legge del 1975 che vieta di «rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo», vale a dire indossare indumenti che coprono il volto o rendono difficile il riconoscimento come il casco integrale o una maschera. L'archiviazione è motivata in giurisprudenza dalla necessità di preservare la libertà di espressione religiosa della donna, diritto sancito dall'articolo 19 della Costituzione, in considerazione che quel soggetto quando gli fu intimato di farsi riconoscere, non si sottrasse. Dal 2007 fra gli indumenti che non si possono portare in pubblico vi è anche il burqa, l'abito tradizionale afgano che cela il corpo nella sua interezza. Quella donna accusata apparve ai giudici “coperta da un sudario scuro” con “solo una fessura per gli occhi”, trattandosi più esattamente di un niqab, un tipo diverso di velo islamico molto diffuso in Arabia Saudita, Yemen, Qatar e altri paesi di cultura araba che copre il corpo ma non gli occhi. Si tratta di due veli in uso nei paesi in cui sono presenti i movimenti fondamentalisti, come il Wahhabismo, lo stesso sul quale si sono formati i talebani afgani. Per questo sia il Burqa che il niqab vengono riduttivamente e spregiativamente indicati come simbolo di quei movimenti fondamentalisti e terroristici, fino a estendere questo ‘labeling’ per ignoranza o malafede demagogica a tutti i musulmani. _vitobarresi@
10 DOMANDE AD AMNESTY INTERNATIONAL SUL BURQA E I DIRITTI UMANI
Il divieto del burqa è un tema prioritario per Amnesty International?
Amnesty International è impegnata a livello mondiale contro le molteplici violazioni dei diritti umani che riguardano uomini, donne e gruppi interi della popolazione. È naturale che per lavorare meglio stabiliamo delle priorità. La questione del burqa in Europa, visto il numero esiguo di persone direttamente toccate, è stato importante in occasione delle modifiche legislative in Francia e Belgio ma non si può dire si tratti di un tema prioritario. Quando però il tema è strumentalizzato e viene utilizzato, in nome dei diritti umani, per stigmatizzare una parte della popolazione e una comunità religiosa o per infiammare un discorso xenofobo e islamofobo, in qualità di organizzazione per la difesa dei diritti umani è nostro dovere prendere posizione.
Il burqa è contrario ai diritti umani?
Un abito non può in se essere contrario ai diritti umani. Ma quando delle persone vengono costrette, dallo Stato o da privati, a indossare un capo d’abbigliamento contro la loro volontà, per un periodo di tempo o sempre, oppure al contrario viene esplicitamente vietato indossare un capo, questo può rappresentare una violazione della libertà personale. Le norme europee in materia di diritti umani obbligano lo Stato a garantire la libertà individuale a tutti gli individui e a reprimere ogni violazione/limitazione di questo diritto commessa dallo Stato stesso o da dei privati.
Il divieto di indossare il burqa è contrario ai diritti umani?
Una prescrizione legale che vieti di indossare un determinato capo d’abbigliamento in pubblico può costituire una limitazione della libertà individuale e della libertà religiosa. È però necessario valutare se tale limitazione è giustificabile per dei motivi di sicurezza, di salute pubblica o di ordine pubblico, o ancora per una questione morale. Bisogna inoltre valutare se la misura è proporzionata e se permettere di raggiungere lo scopo desiderato. Questi criteri vanno esaminati sistematicamente, caso per caso. Secondo Amnesty International un divieto generalizzato del burqa in Europa non è giustificato.
Il burqa è uno strumento di oppressione delle donne?
La frase del Corano che secondo le interpretazioni obbligherebbe le donne a coprirsi in pubblico corrisponde a un modello di società patriarcale nel quale le donne si devono sottomettere al marito. Il burqa limita in maniera molto importante la possibilità della donna di muoversi liberamente e di entrare in contatto con altre persone. Concludere però che le donne che portano il velo sono oppresse sarebbe un errore, come sarebbe sbagliato affermare che il divieto del burqa contribuirebbe alla loro liberazione. I meccanismi di discriminazione e di oppressione nei confronti delle donne, nella religione musulmana come in tutte le altre religioni, sono molto più complessi.
Quali sarebbero gli effetti di un divieto generalizzato del burqa?
Nel nostro paese il numero di donne che portano il velo integrale è minimo quindi gli effetti diretti del divieto sarebbero limitati. Inoltre non è possibile stabilire tra le donne che portano il burqa quante lo facciano per scelta e quante invece sono costrette ad indossarlo. Un divieto costringerebbe le donne che indossano il burqa, sia per scelta legata alle convinzioni religiose che per obbligo, a rimanere confinate all’interno della loro casa o essere multate. Un divieto non avrebbe un’influenza sulla situazione delle donne nelle società musulmane in generale. Al contrario, le donne musulmane che vivono in Svizzera e che si fanno riconoscere come tali, sarebbero ancor più marginalizzate, stigmatizzate, isolate e limitate nei loro diritti fondamentali.
Cosa può fare Amnesty per aiutare le donne costrette a portare il burqa contro la loro volontà?
L’obbligo e la coercizione sono due fatti che possono essere portati in tribunale. Ma, come nel caso di altre violazioni dei diritti delle donne, rimangono impunite con il pretesto che avvengono “in privato”. La condizione preliminare per una messa in atto efficace dei diritti umani sta nella creazione delle condizioni quadro che permettano alle donne di esercitare e rivendicare i propri diritti liberamente. Per esempio delle misure di politica migratoria e di integrazione che riconoscano e prendano in considerazione la situazione particolare delle donne, già discriminate su più livelli. Oppure la creazione di un’offerta socioculturale che valorizzi il diritto delle donne di decidere liberamente e di partecipare alla vita pubblica. Sarebbe pure necessario integrare le donne nella presa di decisioni nei campi che le toccano direttamente.
Al di là del discorso relativo al burqa, cosa pensa Amnesty International del velo islamico in generale?
Donne musulmane e non musulmane si coprono la testa con dei foulard per vari motivi: per obbligo religioso, per affermare pubblicamente la propria appartenenza a una religione, per distinguersi, come simbolo di appartenenza a una comunità, per uniformarsi alle regole di un gruppo o semplicemente perché lo trovano bello. I diritti umani garantiscono a chiunque il diritto fondamentale di poter decidere quale simbolo religioso desideri indossare o meno. Ognuno deve poter esercitare questo diritto senza subire discriminazione, essere costretto o subire minacce. Le limitazioni di questo diritto devono essere giustificate da una base legale, rispondere a un interesse superiore e permettere di raggiungere un obiettivo prefissato.
Il diritto islamico è contrario ai diritti umani?
L’impegni di Amnesty International si basa sull’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani, garantiti a livello internazionale. Questi diritti si applicano a tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro religione, dalla loro origine etnica e della loro appartenenza sessuale. Amnesty International non prende posizione sulla questione della compatibilità in generale del diritto islamico con i diritti umani. Numerose pratiche fondate sulla religione o sulla tradizione sono però chiaramente in contraddizione con i diritti umani. È il caso per quel che riguarda le punizioni disumane o degradanti come la lapidazione, la flagellazione, l’amputazione o i crimini d’onore, come pure le regole di diritto civile o famigliare che sono chiaramente contrarie ai principi dell’uguaglianza e della non discriminazione. Amnesty International critica e combatte queste pratiche indipendentemente dal sistema giuridico che tenta di giustificarle.
Amnesty International si impegna per i diritti delle donne nei paesi in cui vige la legge islamica?
Da molti anni Amnesty International si impegna a livello internazionale in campagne e azioni in favore dei diritti delle donne, contro la violenza sulle donne, contro le discriminazioni, legali o de facto, di cui le donne sono vittime nei paesi musulmani e nel mondo intero. La Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW) è un documento di riferimento indispensabile con il quale sono incompatibili le disposizioni della sharia, in particolare in materia di diritto penale, diritto di famiglia e diritto di successione. Amnesty International si è impegnata concretamente negli ultimi anni in numerose azioni, per esempio contro la lapidazione o contro altre forme di pena di morte che toccano in particolare le donne, contro i crimini d’onore e gli attendati all’acido, come pure per l’abbandono di leggi discriminatorie. Le violazioni dei diritti umani fondate sulla religione o sulla tradizione sono pure spesso al centro delle nostre “Azioni urgenti”.
Qual’è la posizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) rispetto al divieto del burqa introdotto in Francia?
La Corte di Strasburgo non convalida la legge francese che vieta il velo integrale. Al contrario, emette delle importanti riserve pur considerando che sia necessario lasciare agli Stati “un ampio margine di apprezzamento”. Il primo luglio 2014 la CEDU ha rifiutato a grande maggioranza di condannare la Francia in seguito alla richiesta di una donna che portava il velo islamico. La richiesta ha portato alla decisione della Corte era stata depositata l’11 aprile 2011 da una francese musulmana di 24 anni che portava il burqa (che copre interamente il corpo e ha una graticola sul viso) e il niqab (che copre tutto il viso all’eccezione degli occhi). La donna spiegava che nessuno aveva fatto pressione su di lei e che portava uno dei due capi d’abbigliamento in casa e fuori casa, “ma non in modo sistematico”, e che desiderava poter scegliere liberamente come vestirsi. Amnesty International aveva deplorato la decisione della CEDU in merito a questa richiesta, poiché ritiene che lanci un messaggio secondo il quale le donne non hanno il diritto di esprimere la propria fede religiosa in pubblico.
The Burqa according to Amnesty. It's not the dress ripping rights - Controversy over the decision announced by former Interior Minister Roberto Maroni, current President of the Lombardy Region, which intends to introduce 'motu proprio' the prohibition of concealment of the face at the regional level (and of course indirectly national). According to statements of the politician League, former dolphin group led by Bossi and Belsito, the council in the Lombard meeting "on Friday" will prohibit specifically, according to national law, to go into a hospital "with the veil, the burqa and things such". Governor Roberto Maroni confirmed that they would 'a regulation laying down conditions to go into a hospital that does not expressly prohibit entry to those who are masked or wearing the headscarf. But national law is there and it will adjust. "Already in 2012 there was a court case in Turin in Italy that turned the controversy over the burqa and the niqab and the right to religious expression. But what are the reasons for this return flame on the subject? This is just a security issue? On June 11 of qull'anno the prosecutor in Turin decided to close the case of a Muslim woman accused by a citizen to wear in public a traditional garment that concealed the the eyes of others. The indictment was based on the 1975 law that prohibits "making difficult the recognition of the person, in public places or open to the public, without justification", ie wear clothing covering the face or make it difficult to recognition as the full-face helmet or a mask. Archiving is justified in law by the need to preserve freedom of religious expression of the woman, right enshrined in Article 19 of the Constitution, given that the subject when he was ordered to be recognized, did not escape. Since 2007, among the clothes that you can wear in public, there is also the burqa, the traditional Afghan dress that conceals the body in its entirety. The woman accused appeared to judges "covered by a shroud dark" with "only a slit for the eyes", with more exactly a niqab, a different type of headscarf widespread in Saudi Arabia, Yemen, Qatar and other countries in culture Arabic that covers the body but not the eyes. These are two veils in use in countries where there are fundamentalist movements such as Wahhabism, the same on which were formed the Afghan Taliban. For this is that the burqa and the niqab are reductively disparagingly referred to as a symbol of these fundamentalist movements and terrorism, to extend this 'labeling' extended through ignorance or bad to Muslims. _vitobarresi @