CAMBIO | Francesco il Terzo Papa in Sinagoga tra Misericordia e Giustizia ebraica.


Ma esiste davvero un dialogo scevro e sereno tra ebrei, cattolici, cristiani generalmente intesi nelle loro varie confessioni di fede e Chiese particolari, che se davvero è attivo bisognerebbe lodare come sommo bene dell’umanità? Una domanda per alcuni mal posta, per altri persino obliterata dalla fastosità romana degli ormai rituali e cerimoniali incontri in sinagoga, che torna a ripresentarsi alla vigilia della nuova visita papale al Tempio ebraico di Roma. Un incontro proprio nel bel mezzo del Giubileo della Misericordia che, almeno in qualche intenzione remota da parte cattolica, avrebbe potuto essere la pietra angolare di un rinnovamento della qualità e del livello di un confronto quanto mai difficile e ostico tra grandi religioni del passato e dell’attualità, di cui una si staglia con forma di doppia matrice, in parole, profeti e libri, sia del monoteismo cristiano che di quello islamico, la stessa fede che si pone come interlocutrice, insieme prima e ultima, delle altre. Non a caso nella Bolla di indizione del Giubileo si legge ‘la misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam,che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose.’
 Dunque, Giubileo della Misericordia e non semplice giubileo che avrebbe voluto proporsi in quanto ‘volano’, laboratorio sperimentale di convergenza spirituale e materiale nello spazio di una città eterna, simbolo universale del sacro, per avviare un ragionamento sulla reale dimensione interiore del mondo moderno. Andando oltre ogni facile tentazione di reciproca concupiscenza e aspirazione al sincretismo teologico di stampo ‘new age’.


_vitobarresi@DirettoreCambio


Che parola vogliamo che sia misericordia in un tempo in cui l’attacco è diretto, violento, criminale e nichilista contro l’ordine stabilito, la psicosfera morale e spirituale di una realtà internazionale costruito a immagine e somiglianza delle grandi religioni monoteiste ebraica e cristiana che da sempre sono opposte e nemiche del terzo pilastro islamico del mondo?

Un mondo che assomiglia sempre di più ad un fragile bicchiere di vetro in cui si continua a versare un qualche supplemento di giustizia sociale e internazionale portandolo ai bisognosi come acqua bollente agli assetati, a cui poi si intende mettere rimedio miscelando per misericordia altra acqua ghiacciata, fino a far crepare il contenitore stesso. Minaccia terrorista, migranti, nomadismo, identità e coesione politica, frontiere e blocchi, guerre e pace, geografie e libertà, fedi e inculturazione, tolleranza e repressione, religioni e politiche, armamenti e altari, sicurezza e comprensione, sono tutto il resto di un vocabolario di lemmi contrastanti e serrati che stanno nel terzo incontro tra un papa e un rabbino, Papa Francesco e il rabbino capo di Roma Riccardo di Segni.

Ma mai come in questa occasione sia etimo che concetto di Misericordia sembrano, al contrario prestarsi, a qualche costante e necessaria limatura. Da qui il rischio che sia gli ebrei che i cattolici finiscano per dare un senso a questo annuale scambio di cortesie, riducendolo alla stregua di una visita di stato. Importante sicuramente per i non detti e le interlinee che si riempiono di frasi e intendimendi informali, tipici di quella sorta di diplomazia parallela che si svolge tra l’ombra del Tempio Maggiore e quella della Basilica di San Pietro.

Tanto che secondo alcuni sarebbe piuttosto appropriato parlare dello scontro e della crisi perenne del dialogo ebraico-cristiano che scaturisce dalla difficoltà da parte della teologia cattolica e protestante nel trovare risposta al mistero della persistenza ebraica. In qualche modo rimuovere e velare un problema reale per mancanza dottrinale, talvolta per incapacità teologiche, potrebbe favorire proprio i refrattari al confronto, che, sia in campo ebraico che cristiano, trovano sempre ampie insenature e rifugi in cui inserirsi.

Per cui, come ha osservato lo storico Franco Cardini, anche se ‘negli ultimi quarant’anni i pontefici hanno revocato l’accusa di deicidio, hanno compiuto importanti gesti d’amicizia verso gli ebrei, hanno perfino riconosciuto (solo nei discorsi, mai in un documento teologico) la validità dell’alleanza contratta da Abramo e ribadita sul Sinai’, costoro approfittano della mancata trasposizione teologica dei deliberati conciliari, perché ‘qui, sull’orlo dell’incognito, si sono fermati’.

Emblematicamente l’ultimo tra numerosi inciampi di squisito carattere ‘antropologico-culturale’ è sorto sulla discutibile definizione di “fratelli maggiori”, ormai comunemente utilizzata dopo essere stata coniata durante la prima visita di Giovanni Paolo II. Per l’attuale rabbino di Roma essa ‘è un’espressione un pò ambigua. Dal punto di vista mediatico è di grande impatto. Dal punto di vista teologico-biblico è però problematica, perché il fratello maggiore nella Bibbia e anche nel Nuovo testamento, per esempio nella Lettera ai Romani di Paolo, è il cattivo e il perdente. Meglio che ebrei e cristiani si definiscano da soli’.


The Third pope goes to synagogue between Mercy and Justice Jewish - But there really is a peaceful dialogue and devoid of Jews, Catholics, Christians generally understood in their various confessions and the particular Churches, that if really is active should praise as the highest good of humanity? A question for a few misplaced, for others even now obliterated by the splendor of the Roman ritual and ceremonial meetings at the synagogue, who returns to retake the eve of the new papal visit to the Jewish Temple in Rome. A meeting in the midst of the Jubilee of mercy that, at least in some remote intention by Catholic, could be the cornerstone of a renewal of the quality and level of a comparison extremely difficult and tough between the great religions of the past and of 'actuality, one stands out with dual matrix form, in words, prophets and books, both of Christian monotheism that of the Islamic faith itself that acts as interlocutor, with first and last, of the other. Not surprisingly, the Bull of Indiction of the Jubilee says' mercy has a significance that goes beyond the confines of the Church. It relates us to Judaism and Islam, who consider it one of the most defining attributes of God. Israel first received this revelation, that endures in history as the beginning of an immeasurable wealth to offer to all humanity. This Jubilee Year lived in mercy may favor an encounter with these religions and with other noble traditions religiose.'Giubileo of Mercy and not simple jubilee that, in some of his original petition programmatic, wanted to propose in the 'fly', laboratory experimental convergence spiritual and material in the space of an eternal city, a symbol of the sacred and of faith, to start an argument about the real inner dimension of the modern world, beyond the easy temptation of lust and mutual aspiration to syncretism theological mold of 'new age' . _vitobarresi@DirettoreCambio