Lo scorso 27 gennaio 2016 a Casalecchio di Reno (in provincia di Bologna) è stato intitolato un piazzale a Rita Levi Montalcini. Si tratta di un’area antistante la Casa della Salute la cui inaugurazione è prevista per il mese di marzo 2016. Rita-Levi Montalcini è la mia fissazione. C’è stato un momento nella mia vita in cui ho dovuto decidere che cosa volevo diventare, a quale modello di donna volevo somigliare. Ero una ragazzina degli anni ’80, quelli che adesso sono tornati di moda e che mi fanno pensare che sia davvero invecchiata. In quel famigerato periodo in cui tutti vestivano da paninari io ero considerata la truzza, ovvero la tipa un pò sfigata che vestiva con abiti improbabili e non frequentava gli ambienti giusti. All’epoca esisteva un mensile di nome Moda edito dalla Eri: ogni tanto mi capitava una copia tra le mani e la studiavo con attenzione. Era pieno di foto di modelle perfette, inarrivabili, con abiti che io non avrei mai potuto permettermi. Il paragone tra me e loro era impossibile. Lo smacco totale arrivò quando una mia vicina di casa finì su una di quelle copertine: era davvero bellissima. Quella ragazza stupenda diventò in seguito la moglie di Ferragamo (figlio del noto stilista Salvatore Ferragamo). Insomma, tutto il pianeta congiurava contro i miei brufoli, la mia cellulite, la mia timidezza e il mio aspetto sportivo, che all’epoca era poco apprezzato. Chiedo ancora perdono per tutte le sofferenze che ho causato ai miei genitori facendogli pesare la mia inadeguatezza rispetto ai tempi.
_patriziamuzzi@CambioQuotidiano
Come ci insegnano i racconti dei grandi scrittori del nord Europa, però, allo sfigato protagonista di una storia viene sempre regalata un’occasione dalla vita. Basta saperla cogliere. Ricordo ancora quel pomeriggio. Sedetti alla scrivania, nella mia camera tappezzata di poster di Ritorno al Futuro, Highlander, Indiana Jones e mi feci la fatidica domanda:
- ma tu, cosa vuoi diventare nella vita? A quale modello di persona vuoi somigliare? Non credi che l’estetica sia qualcosa di effimero al quale attaccarsi fino a cento anni (questa era l’età che presumevo di vivere)? La risposta non tardò ad arrivare. Avevo scelto lei: Rita.
Rita Levi Montalcini nacque a Torino nel 1909. La sua era una famiglia benestante certo, ma la sua epoca non giocava a favore delle donne e men che meno di una famiglia di origini ebraiche. Immaginiamo questa piccola bambina gracile che cerca di capire chi è e cosa farà della vita in una Torino dal clima vittoriano, noiosa, grigia e carica di promesse che non potrà mantenere. Conservo ancora la copia di uno dei suoi libri: Elogio dell’imperfezione (Garzanti editore). Quando lo acquistai, non sapevo che qualche anno dopo le nostre vite si sarebbero incrociate. Amo le autobiografie dei grandi. C’è tanto da imparare tra le pieghe delle cose che scrivono, nella scelta delle persone cui dedicano i propri scritti e delle frasi che amano riportare prima che il libro inizi: ti stanno dicendo qualcosa.
Il libro suddetto La Rita (come veniva chiamata in famiglia) decide di dedicarlo alla sorella Paola e al loro Padre (con la P maiuscola) che la sorella Paola ha amato in vita, ma che lei ha compreso e amato solo dopo averlo perso. Un padre che le ha insegnato a fare risaltare nel prossimo tutte le qualità migliori. Padre da cui afferma di avere ereditato la tenacia, la mancanza di complessi e la noncuranza per le difficoltà che avrebbe incontrato. La citazione che anticipa il prologo è una poesia di William Buttler Yeats dal titolo di per se esplicativo: The Choice (La Scelta)
The intellect of man is forced to choose perfection of the life, or of the work, And if it take the second must refuse A heavenly mansion, raging in the dark. When all that story's finished, what's the news? In luck or out the toil has left its mark: That old perplexity an empty purse, Or the day's vanity, the night's remorse.
Lei stessa ci lascia un grande insegnamento: anche per una persona così metodica e determinata la vita non è un percorso che si può stabilire a priori senza imbattersi in grandi delusioni e dispiaceri, in fallimenti e crisi esistenziali. La vita è conciliare due aspirazioni inconciliabili ‘perfection of the life, or of the work’. La risultante della sua fu grandiosa: il Premio Nobel nel 1986 (Nobel lecture: http://www.nobelprize.org/mediaplayer/index.php?id=1659) per la sua scoperta dei fattori di crescita.
La Storia la portò nel posto giusto nel momento giusto e lei seppe cogliere quella grande occasione che l’Italia dell’epoca non le avrebbe mai dato. Come lei, colsero la stessa occasione Salvador Luria, che vinse il Nobel nel 1969 per avere scoperto i meccanismi di replicazione dei virus e la loro struttura genetica, e Renato Dulbecco, che vinse il Nobel nel 1975 per le scoperte riguardanti l’interazione tra i virus tumorali e il materiale genetico delle cellule. Tutti e tre allievi di uno scienziato torinese, Giuseppe Levi, la cui storia potete leggere in questo articolo ‘Giuseppe Levi: mentor of three Nobel Prize’ su PubMed.gov
Ebbi l’occasione di conoscerla e dirle che stavo lavorando esattamente nel luogo dove lei aveva mosso i suoi primi passi. Lei mi ripose senza alcun tentennamento che non aveva avuto la possibilità di lavorare in Facoltà per colpa delle leggi razziali. Rimasi molto colpita da quella risposta, perché solo allora compresi quanto doveva essere vivo quel triste ricordo se dopo quasi un secolo di vita, i successi ottenuti, ed un Premio Nobel, riemergeva repentinamente e con durezza la verità. Fu lei a insegnarmi a non avere paura e a lanciarmi con passione nelle cose che amavo. Fu lei a non farmi vergognare dell’idea che la maternità non era per forza lo scopo primario di ogni donna sul pianeta e che si poteva provare una grande gioia realizzandosi nella vita anche senza figli.
Scoprii a un congresso di neuroscienze che i suoi colleghi d’oltreoceano l’avevano soprannominata La Regina. La sbeffeggiavano un pò, doveva apparire loro come una figura fuori dal tempo e con un piglio aristocratico. Ma quella donna suscitava in tutti grande rispetto, aveva qualcosa di speciale e tutti lo percepivano.
Quale messaggio finale lascia Rita al termine del suo libro? Parla con Primo Levi. Un uomo che ‘nella più profonda disperazione era riuscito a preservare intatte le più elevate qualità e a emergere dagli abissi con la fronte alta e lo spirito puro’. Anche lei aveva scelto il proprio modello.
A Boston, una città dove è più facile incrociare un futuro Nobel che un impiegato, persino in metropolitana ti ricordano i grandi scienziati che hanno fatto fare un balzo all’umanità: ci sono i loro nomi sui muri oltre alla possibilità di verificare di persona alcuni dei loro esperimenti come in un museo. In questo gli americani sono bravissimi. C’è un grande rispetto per la Ricerca perché oltre ad essere un esercizio intellettuale, rappresenta una grande fonte di ricchezza.
E il nostro Paese? È capace di dare risalto ai grandi del passato e metterne a frutto gli insegnamenti per crearne di nuovi? Ben venga una piazza dedicata a Rita Levi Montalcini: ci accontentiamo, visti i tempi.