Nino D’Angelo a Napoli senza giacca né cravatta

9 febbraio 2016, 10:20 100inWeb | di Vito Barresi

Lo massacrarono di critiche per via del suo caschetto biondo ma lui certo non si riconosceva affatto nella versione napoletana di Caterina Caselli. Nino D’Angelo è stato sempre quello che è stato. Mai un guappo ma un guaglione verace della musica del Golfo. Continuando ancora ad esserlo, sempre evergreen con i suoi eterni jeans. E adesso che se lo può anche permettere, per via della sua mitologica carriera artistica, è finalmente, ormai quasi sempre in total black, diventato un cantante doc della tradizione canora italiana senza né giacca né cravatta. Anzi, ora che si comprende meglio e si apprezza il cuore grande, l'autenticità della sua passione partenopea, Nino va veramente oltre il ricordo dei suoi gloriosi Anni Ottanta e non solo. Senza per altro rinnegare nemmeno una nota, neache una strofa di quella sua irripetibile epoca d'oro, come i fili dei suoi lunghi quanto sempre a posto e invidiabili capelli. Tempo al ritmo di un successo popolare in cui si andò strutturando e si forgiò il mito di un giovanissimo cantante di street che, con il suo dilagante successo in ogni dove del Sud Italia, faceva innamorare le ragazze e storcere il naso ai soliti critici simil borghesucci - fintocomunisti - antisocialisti, un pò alla Moravia eccessivamente brufolosi, più fautori della canzonetta fin troppo impegnata, inorriditi e schifati dalla volgar-musik di uno chansonnier nato 'nte vasci. Lo stesso che poi stava già impegnando semiologi e sociologi, forse quelli un pò più attenti, all’interpretazione di un fenomeno pop-culturale di massa che, sfondava in ogni dove delle abbandonate periferie meridionali, il teatro sofferente di un genocidio e di un amorale tradimento 'a sinistra' della storica questione meridionale...


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Il cinema fece il resto per lanciare una star di popolo e di cuore. Pellicole dall’inequivocabile conio dell’identità napoletana, «Celebrità», «Tradimento», «Giuramento», furono tra quelli che sbancarono ai botteghini. L’accoppiata a panino album/film mise in piedi una filiera di mercato che dalle bancarelle della copie pirate alla grande distribuzione segno davvero un’epoca nella discografia vesuviana. «Nu jeans e na’maglietta» toccò un milione di copie vendute, superando persino gli incassi del colossal «Flashdance» . Altri film come «La discoteca», «Uno scugnizzo a New York» e «Popcorn e patatine» suggellarono la forza del prodotto D’Angelo.

Ciò che viene da chiedersi è se oggi quel Nino tanto amato dalle generazioni meridionali di fine Novecento è soltanto un pezzo d’archivio? O se invece con il tempo la sua evoluzione artistica lo ha portato altrove seguendo i passi che vanno dalla colonna sonora di «Tano da morire» film culto del 1997 di Roberta Torre, passando per i premi importanti come il David di Donatello e il Nastro d’Argento per la migliore colonna sonora. Nel 1997 compone il suo primo musical di successo «Core pazzo», nel 1998 è conduttore del «Dopofestival di Sanremo» al fianco di Piero Chiambretti, nel 1999 pubblica la sua autobiografia dal titolo «L’ignorante intelligente» in cui l’artista racconta le sue umili origini.

Poi la scoperta da parte del cinema d’autore con Pupi Avati che lo sceglie per «Il cuore altrove». Adesso Nino torna a Napoli, il palcoscenico inimitabile di quel suo talento infantile che lotta attimo per attimo per non perdere quell’ultima preziosa scheggia di candore e verità.


NINO D'ANGELO A NAPOLI TEATRO CILEA DAL 18 FEBBRAIO 2016