Tutto un mondo crollato addosso a famiglie, affetti, storie di vita, profili personali chiusi in un vagone di una ferrovia di strazio e sentimenti che si è squarciata sullo schermo della cronaca italiana proprio come in un film. E’ ciò che abbiamo visto restando in silenzio. Ammutoliti e mestamente addolorati. Le zoomate di telecamere e cineprese lungo un tracciato che sembra una pista da western. Il report aerofotogrammetrico dei droni dei vigili del fuoco, che riprendeva allo scanner un binario spezzato, segnato dal sangue e dal dolore dentro l’argilla arsa del Tavoliere delle Puglie. Non per dirla come nelle enciclopedie del cinema ma davvero si tratta o dovrebbe essere questa l’immagine madre, l’iconografia politica della questione meridionale tradita. La clip di un Mezzogiorno di fuoco, bruciato da un ventennio di berlusconismo leghista e poi maltrattato immoralmente dalla logica mercantile di un renzismo che amoreggia, flirta e scende a patti con il peggior ceto politico trasformista annidato stabilmente nel suo volgarissimo partito democratico. Quel che accade è che, sebbene nella terra dei grandi meridionalisti Gaetano Salvemini e Giuseppe Di Vittorio (evitiamo di nominare Napolitano altrimenti dovremmo disdicevolmente paragonarlo ai Gullo, ai Grieco, agli Alicata, ai Li Causi, agli Amendola, ecc. ecc. ) pezzi interi della società cercano in qualsiasi modo di ribellarsi e infrangere una gabbia di ferro arrugginito che la imprigiona, un regime asfittico e parafascista oggi rappresentato da un cascame di sinistra avariata e corrotta come quella degli ex comunisti e degli ex democristiani, connivente con gli schemi mafiogeni a ogni livello istituzionale ed elettorale, che arrogantemente ostenta il suo potere sotto il simbolo del PD. Questo sud alla ricerca della ribellione morale e politica ancora non riesce ad esprimere una più solida offerta politica, una più incisiva rivolta democratica, a compattare a livello di piena maggioranza e coesione la ripulsa sacrosanta contro la partitocrazia che ha ucciso la società e l'economia, travolto i circuiti comunitari, strumentalizzato e devastato il meridionalismo dei classici, trucidato Gramsci e quanti altri si erano battuti per la costruzione delle infrastrutture come le ferrovie, divenute poi preda dei mangioni e del crimine organizzato. Ancora una volta il rischio è che il sud non si alzi in piedi e non riesca ad lanciare a viso aperto la sfida contro il Governo Renzi. E questo perchè per schierarsi contro e non ripiegare nella consolazione e nella rassegnazione più umiliante e triste, occorre avere accanto a sé il Nord del Paese, l’Italia unita che insieme dice basta allo scandalo del sottosviluppo meridionale e della sua riduzione a riserva della stabilità e della corruzione politica nazionale.Scritto e diretto da Giambattista Assanti "Ultima fermata" è la storia di più d’una generazione, nate e cresciute lungo i binari e trenini di una linea ferroviaria minore entrata nella storia orale, nella tradizione e nel racconto di un luogo del Sud, la tratta Avellino-Rocchetta Sant'Antonio, messa in marcia il 27 ottobre 1895 e poi dismessa nel più recente 2010. Piccoli treni di comunità, importanti non solo per i viaggi da un posto a l’altro di geografie appenniniche ma essenzialmente perché nell’immaginario collettivo esse erano la reale struttura dei riti di passaggio tra le varie stagioni della vita: l’amore, il lavoro, le amicizie, l’addio e il ritorno di giovani e vecchi, donne e famiglie, alcune partite da proprio da lì per raggiungere terre assai lontane.
Se davvero Renzi vuol portare avanti il cambiamento dell’Italia, se fossero validi i principi della sua partenza dalla Stazione fiorentina della Leopolda prenda atto di quel che nella memoria e nella storia del Mezzogiorno c’è ormai inscritto geneticamente. E cioè che il Sud sa piangere i propri lutti ma ha bisogno anche di risorgere se ci sarà qualcuno oltre e altrove qualcuno che per empatia e coraggio politico sappia sinceramente comprenderlo oggi molto di più di ieri, perchè più annodato, complesso, indifeso, destrutturato e spesso anche sbandato non solo dalla millanterie dei politicanti parlamentari e stipendiati ma anche dai poteri occulti, dalla 'ndrangheta, dalla mafia, dalla camorra e quant'altro di questo merdume.
Le lacrime hanno un senso anche quando sgorgano dagli occhi degli dei perché dicono le ansie e le necessità, non gridano vendetta ma giustizia. Ecco perché consigliamo a tutti, prima ancora che a Renzi di andare a vedere un film esemplare, fresco di pellicola che come al solito ha fatto piuttosto scena per colore locale che non per monito e insegnamento alla politica che spesso sparla di cultura e conoscenza.
Il film, girato tra l'Irpinia e la Puglia, racconta una storia d'amore vissuta proprio nel tempo della scomparsa della ferrovia. Protagonisti il capotreno Domenico Capossela (interpretato da Nicola Di Pinto), che vede ogni giorno lo svogersi inarrestabile della catena migratoria che svuota l'Irpinia nel dopoguerra. Nel cast Sergio Assisi, Francesca Tasini, Luca Lionello, Salvatore Misticone e Francesco Dainotti.
Giambattista Assanti, regista apprezzato dell'opera prima, riflette sul suo film con parole di realismo e malinconia, tinte di nostalgia ma anche di appassionata attenzione al valore del paesaggio, della memoria racchiuse nell'epica narrativadi quella che può bene definirsi come una vera e propria saga delle ferrovie minori in ogni parte del mondo: "Negli anni Cinquanta il treno fu il mezzo con cui tanti irpini lasciarono i propri paesi d'origine, in cerca di un futuro migliore, Ogni giorno si assisteva a scene di addio, ma anche di gioia per i brevi rientri degli emigranti. Ho deciso di fare il film nel 2010 senza alcun fine politico, solo per trarre un bilancio sentimentale".
Poi il cameo, la partecipazione di Claudia Cardinale che l’attrice ha donato con cuore ed entusiasmo ad Assante,il quale ricambia con affetto e ammirazione :"Claudia è stata preziosa non si è mai comportata da diva, anzi, ha sempre collaborato con noi. Anche quando abbiamo avuto dei problemi sul set, magari per dei ritardi indipendenti dalla nostra volontà, lei non solo non si è mai lamentata ma ci ha intrattenuto raccontandoci aneddoti della sua vita legata al cinema e ai tanti attori, da Mastroianni a Sordi passando per Tognazzi, con i quali ha lavorato".
La colonna sonora si avvale di musiche di vari compositori: Paolo Jannacci, Federico Landini, Franco Eco, Vittorio Giannelli, Toni Carnevale, Alessandro Costantini.