CAMBIO | Il ritorno di Guido Bertolaso. L’uomo che vide per primo L’Aquila distrutta.

Il centro-destra candida Guido Bertolaso come sindaco di Roma. "Sono onorato della proposta che Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni mi hanno formulato. Grazie al progressivo miglioramento delle condizioni di salute della mia adorata nipotina, che mi consentono di riacquisire la necessaria tranquillità, accetto questa nuova sfida", afferma Bertolaso.


IL RACCONTO
_vitobarresi@DirettoreCamBio


Intorno alle otto il responsabile della Protezione Civile Guido Bertolaso era in diretta. Questo ‘civil servant’, informale nella sua tessitura comunicativa quanto impeccabile nella sua uniforme di responsabile della rete dei soccorsi e della prevenzione nazionale, annunciò al Paese che si stava prospettando “una situazione drammatica, la peggiore tragedia da inizio millennio. E’ possibile prevedere numerose vittime e migliaia di sfollati”. Passarono solo pochi minuti e le agenzie diramano una nota dello stesso Bertolaso secondo cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi stava firmando un decreto per dichiarare lo stato di emergenza nazionale, con il quale verrà nominato commissario straordinario del governo per gestire questa situazione. Firmato il decreto Berlusconi, prendendo atto della drammaticità della situazione, rinviava il viaggio in Russia.

Intervenendo telefonicamente a Sky tg24 affermava:“E’ una situazione che non ha precedenti in questo nuovo 2000 e interpreta quello che già sappiamo: il nostro Paese è aperto e sottoposto a queste periodiche scosse". Era ormai l’alba quando il cratere concesse una prima tregua. Si apriva un varco per quanti dovevano circoscriverne il perimetro provvisorio e parziale, stilare la lista delle più impellenti e preliminari operazioni di soccorso.

Il terremoto non mostrava più la superficie ma andando oltre il suo stesso avvenimento denudava la struttura reale delle cose.

Le chiese e le case sono erano state smontate pezzo per pezzo. Da una parte all’altra la città si presentava come in un’inquadratura dissolvente, senza consistenza, ologrammata. Un carillon che suonava il refrain di una catastrofe a un ritmo impossibile. Cadevano i rosoni, si abbattevano le statue nelle nicchie, si sgusciavano le cupole.

Nell’illusione di un risveglio tranquillo centinaia d’esistenze si erano fermate, calcificate. Erano le 3.32. Un’ora in cui non c’è più la notte ma neanche il giorno. L’ora del destino, dei sogni che svaniscono, delle ansie che risalgono dal fondo di un’anima mundi.

Tutto si svolse come se una macchia si fosse di colpo espansa a dismisura, con razionale geometria, seguendo una linea coerente e concisa, travolgendo in progressione totale strade, palazzi, case, contrade e paesi. Crollati uno accanto all’altro, ripiombando a catena senza suscitare incendi e nubi inquinanti ma soltanto stridori, sofferenze, urla nel chiuso universo delle proprie dimore. La luce del mattino squarciava il velo e illuminava la pesante follia di un contrasto notturno. Lo choc ebbe la brevità di un ‘trailer’ cinematografico. Trentasette secondi di distruzione e morte. “Abbiamo aspettato la luce del giorno e poi siamo rientrati nella nostra ex casa. Crepe di ogni genere, soprattutto sulla parete dove poggiavo la testa per dormire. Tutto distrutto. Fa venire da piangere. Prendiamo i vestiti, li buttiamo nelle valigie e scappiamo via. Non voglio più restare qui. E’ stato terribile. Me ne vado per sempre”, disse Livia, una studentessa sarda di ventidue anni seduta sul bordo della strada mentre aspettava un’amica per tirarla fuori da questo inferno sismico.

Gli ultimi a restare sono quelli che tentarono di recuperare qualche oggetto prima di aggregarsi alla enorme coorte dei senza tetto. Nelle vie che portavano al centro sfilarono le autocolonne dei Vigili del fuoco. I mezzi di soccorso incrociarono gruppi di persone sconvolte che avanzano trascinando meccanicamente coperte, borse e quanto si è riusciti a riprendere nella propria abitazione. Altri profughi, accampati con qualche masserizia tratta in salvo, guardavano verso la pianura con la fretta di lasciarsi dietro il rovescio immane della propria città. I sismografi avevano freneticamente oscillato sui 5,8 gradi della scala Richter, pari a 8-9 gradi della scala Mercalli. Già si parlava di centinaia di morti, migliaia di feriti, ben settanta mila sfollati. Nessuno azzardava cifre sul totale dei dispersi.

Lo scandaglio mediale si solleva oltre il livello del suolo. La tv di fatto oscurata dalla scossa riapre da Roma il sipario sul ‘set’ di una catastrofe che si è abbattuta duramente nella notte successiva alla solennità delle Palme. Man mano che cominciano a passare le ore, l’esodo dalla città assume caratteri biblici. Sono tantissime le persone che a piedi si sono messe in marcia verso una meta incerta. Gli autisti dei mezzi della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco devono fare attenzione a questo confuso pellegrinaggio di sfollati. Anziani, giovani, donne, bambini camminano lungo i marciapiedi badando a non avvicinarsi né sostare sotto i palazzi che barcollano ripetutamente scrollati da una raffica di scosse. Le file si sono messe in movimento trascinandosi pezzi della propria vita domestica, piccoli bagagli di fortuna, preparati in pochi minuti nel concitazione di un disperato si salvi chi può. Chi ce l’ha fatta a scappare ha riempito alla rinfusa buste di plastica della spesa, trasportato cassetti, trascinato brandelli del proprio guardaroba affastellandoli da qualche parte negli slarghi e negli spazi liberi dei quartieri. E’ qui che cominciano a montare le tende dove trovare riparo.

In poco tempo i distributori di benzina finiscono le scorte di carburante sotto la pressione di un vero e proprio assalto dei mezzi di soccorso e delle auto partite per portare le famiglie al riparo in altre località. Le autostrade sono rimaste chiuse per diverse ore. Occorre verificare i possibili danni infrastrutturali. Ma sopratutto facilitare l'arrivo dei soccorsi. Il divieto di circolazione fa andare in confusione il traffico sulle strade ordinarie.


The return of Guido Bertolaso. The man who saw it first destroyed L'Aquila. - The center-right candidate Guido Bertolaso ​​as mayor of Rome. "I am honored that the proposal Silvio Berlusconi, Matteo Salvini and Giorgia Meloni have formulated me. Thanks to the progressive improvement of the health of my beloved granddaughter, that allow me to regain the necessary calm, I accept this new challenge," said Bertolaso. Around eight o'clock the head of Civil Protection Guido Bertolaso ​​was live. This 'civil servant', informal in his communicative texture as impeccable in his uniform as head of the rescue network and national prevention, announced to the country that was presenting "a dramatic situation, the worst tragedy since the beginning of the millennium. And 'possible to predict many thousands of victims and displaced persons ". They spent only a few minutes, and the branch agencies a note of the same Bertolaso ​​that the prime minister Silvio Berlusconi was signing a decree to declare a national state of emergency, with whom will be appointed special commissioner of the government to handle this situation. Signed the decree Berlusconi, noting the dramatic nature of the situation, he postponed the trip to Russia._vitobarresi @ DirettoreCamBio