Io, Arlecchino perduto nell’Italia vietata al Carnevale

16 febbraio 2016, 10:44 100inWeb | di Vito Barresi

Quel che avviene nel ‘deserto dei tartari’ in cui si è ridotta l’Italia ‘proibizionista’ all’epoca di Renzi, Draghi e Mattarella, è come l’indicibile silenzio descritto da Buzzati. Una monotona routine, il prevalere rassegnato di un sentimento comune alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell'esistenza a orario delle tv, tutto scritto nell’incredibile indifferenza con cui le più alte magistrature dello stato, teatro delle istituzioni e loro diuturna rappresentazione, cioè i Colli, le autorità di governo che sovrintendono all’ordine pubblico e civile, le loro macchine propagandistiche affini e parallele, hanno imposto e fatto accettare supinamente il divieto a dir poco storico ed epocale di festeggiare il Carnevale secondo l’antica tradizione delle Maschere. Così un grande evento millenario e secolare, il Carnevale, passa nel tritacarne della real politik, della guerra al terrorismo, della demonizzazione dell’Isis, facendo ripiombare il tempo locale nel baratro dei millenni, tra il progressismo della sicurezza e l’incubo del feudalesimo, quando a Venezia nel 1268, una legge vietò la circolazione delle maschere (“mattacini”) per motivi di ordine pubblico. Poi il travisamento fu vietato nel XIV secolo, proibiti i travestimenti per le prostitute ed i loro clienti. C’è pero’ ancora qualcuno e qualcosa che ci fa ricordare l’Arlecchino che abbiamo perduto, la maschera bergamasca che è profondamente radicata nell’inconscio e nel desiderio di ognuno, l’Arlecchino che è un autentico IO sociale, quello che in frammento attuale potrebbe divenire e svelarsi il NOI comune e progettuale di un’Italia sempre più confusa e incapace di dare forma nuova alle sue immense potenzialità, di valorizzare un’eredità della storia, dell’arte e dell’intelligenza altrimenti irraggiungibile da altri anche potenze imperiali del mondo globale. Giorgio Pasotti, regista e interprete del film “Io, Arlecchino”, troppo rapidamente passato nelle sale in pochi giorni del giugno 2015, ha offerto al pubblico quello che è già la prima e unica opera cinematografica interamente dedicata alla maschera in cui Arlecchino si ripresenta per quello che forse realmente è sempre stato ‘un anarchico che non è mai riuscito stare nelle regole. Si arrabbatava per sfamarsi e poi, calandosi una maschera, si prendeva la libertà di dire quello che voleva. E questo lo ha reso unico. Magari esistesse ancora oggi”.


_vitobarresi@DirettoreCamBio


Il Film “Io, Arlecchino” di Giorgio Pasotti e Matteo Bini è la storia di un padre, interpretato da Roberto Herlitzka, e di un figlio, separati e legati dal vestito di Arlecchino, un personaggio, irriverente, burlone, sempre affamato, per ben due secoli fu popolare presso la corte francese, che nella mappa dei ruoli tradizionali della Commedia dell’arte era il fulcro in mezzo alle altre figure maggiori dei vecchi, degli innamorati e dei servi, dovrebbe ben tornare ad essere in auge per quella capacità che gli è naturale di smascherarsi improvvisamente, di sdoppiarsi, mettendo in ironica evidenza la parte di servo furbo, che sa ordire l'intrigo, rimanendo per gli altri un servo sciocco e ingenuo.

Arlecchino figura rimossa dal nuovo immaginario popolare italiano. Può succedere. Tuttavia nella misurata allegoria che si ripropone sulla scena dell’attualità italiana, Arlecchino rimette al centro del fare e del pensare l’importanza, si potrebbe dire filosifica e morale, dell’arte povera del rammendo, riparare un tessuto o un lavoro a maglia strappato, tagliato o bruciato, o molto logoro e liso, riprendendone e riallacciandone i fili, o ricostituendoli con filo identico, in modo che il guasto non si veda o si noti il meno possibile: ho tante calze da rammendare; mi son fatto rammendare lo strappo dei calzoni; stava rammendando un vecchio lenzuolo.

Ci sono le toppe sul nostro vestito, le losanghe colorate che danno tutto il senso e il valore di varietà e di diversità, la vita privata e l’esperienza pubblica, la società e il teatro della rappresentazione mediale, edulcorata, falsata comunque raccontata ogni giorno e per questo in grado di tramutarsi da eterogenea a omogenea, da spezzata, divisa a unita, da disordinata a ordinata, come fosse il mosaico di un arcobaleno in frantumi.

Quel che conta è sapere che all’indifferenza di certa politica si può e si deve ancora rispondere con l’irriverenza, tornando a far brillare di luce propria, a far risuonare l’accento dell’Arlecchino che irragionevolmente abbia scaraventato, prigioniero e segregato, nella soffitta delle maschere nazionali.


Harlequin prohibited in Italy in the Carnival - What happens in the 'Tartar' desert in which shrank Italy 'prohibitionist' time of Renzi, Draghi and Mattarella, it is like the unspeakable silence described by Buzzati. A monotonous routine, resigned to the prevalence of a common sentiment of the majority of men, especially if pigeonholed into existence in time of the TV, all written in the incredible indifference with which the highest magistrates of the state, the institutions and their unremitting theater representation, that is, the Hills, the government authorities that oversee public order and civil, their kindred and parallel propaganda machine, have imposed and done passively accept the ban nothing short of historic and epoch-making to celebrate the Carnival according to the ancient tradition of Masks. So a great millennial age-old event, the Carnival, passes into the real politik meat grinder, the war on terrorism, the demonization Isis, making slip back the local time in the abyss of the millennia, between the progressivism of the safety and the nightmare of feudalism when in Venice in 1268, a law prohibited the movement of masks ( "mattacini") for reasons of public order. Then the misrepresentation was banned in the fourteenth century, it prohibited the disguises for prostitutes and their clients. There is, however, 'still someone and something that makes us remember the Harlequin that we have lost, the Bergamo mask that is deeply rooted in the unconscious and in the desire of everyone, the Harlequin is a genuine social IO, what in fragment today unveiling the US could become increasingly common and confusing design of an Italy and unable to give a new shape to its immense potential to exploit a legacy of history, art and intelligence otherwise unreachable by other imperial powers also of global world. Giorgio Pasotti, directed and starred in the film "I, Harlequin", too quickly passed in the halls in a few days in June 2015, offered to the public what is already the first and only film work entirely dedicated to the mask in which Harlequin returns to what perhaps really it has always been 'an anarchist who has never been able to stay in the rules. It arrabbatava to feed themselves and then, sliding down a mask, he took the liberty to say what he wanted. And that made him unique. Maybe still exist today." _vitobarresi@DirettoreCamBio