CAMBIO | Beato Lucio Dalla che sapeva parlare ai delfini

Sputo se indovino se non potrebbe essere così. Ma a quattro anni dalla sua scomparsa Lucio Dalla, più che mai vivo nel ricordo, sembra destinato a stare ancora al centro dell’attenzione dei suoi fans che in silenziosa catena stanno appassionatamente aprendo la pratica della sua causa di beatificazione artistica e culturale. Frutto di una devozione calda e ininterrotta, simpatetica e misurata, spazialmente localizzata tra via D’Azeglio a Bologna e la sua tomba nel Monumentale cittadino, i ‘santini del cantautore’ insieme al diffondersi di un collezionismo urbano geolocalizzato che è l’antifona di un vero e proprio culto delle reliquie del cantante. Tutto ciò si vede dai piccoli e grandi segni della fede dalliana che si moltiplicano copiosi in ogni dove della sua città, materializzandosi nel periodico apparire di icone murali, stencil disegnati e stampati al crocevia delle strade storiche, preziose opere d’arte povera di giovani artisti sconosciuti e senza firma che sono la testimonianza non solo di un affetto sorgivo e disinteressato ma anche il modo indigeno e originale di ripensare la più convenzionale e standardizzata iconologia rock del cantautore bolognese. In qualche modo collegate e coniugate con le forme più classiche di quel che fu in Dalla la pubblica e personale espressione della sua stessa religiosità popolare, le ormai numerose e fin qui non catalogate effigie murarie in cui è ritratto il volto, e talvolta anche il mezzo busto corporeo del cantante, sono indubbiamente l’espressione di un culto laico locale che assume le sembianze domestiche di una devozione che è domanda di memoria reale, materializzata in queste improvvisate e volanti are votive, edicole di culto e pensiero che stanno divenentando luoghi di un silenzioso pellegrinaggio, anonimo ma visibile. Tanto che la folla di Lucio che si personalizza quotidianamente nel contatto e nel colloquio interiore con la figura sacra del musicista la puoi osservare in ogni istante quando alza la testa e volge gli occhi alla casa di quel bolognese divenuto da povero e sconosciuto che era più ricco ed illustre di altri. Per cui sarà difficile anche per gli avversari, i controdeduttori, di un’ipotetica e immaginaria causa di beatificazione, compilare un indice significante di errori e superstizione che attesti un’eresia sul bordo della scomunica a mente e prova di una vita buona e generosa, mite e incantata. La stessa che faceva narrare a Lucio anche gli eventi straordinari e miracolistici avvenuti in disparate occasioni. Quelle strane vicende di cuore e mistero cosmico che solo nel solenne rito corale e serale di concerti celebrati in determinati luoghi leggendari poteva confessare davanti al proprio pubblico. E tra queste la curiosa e bella favola, quasi una storiella francescana, del suo dialogo con i delfini, che raccontò commosso, emozionato come un ragazzo, davanti a una platea stupita con dietro il fondale enigmatico di un mare notturno, il Ionio, evocazione sublime di miti antichi ed ombre odissiache. Quasi le stesse sognate e sfuggenti ai piedi del Nettuno in Piazza Maggiore.



_vitobarresi@CamBioQuotidiano


L’essenza del messaggio, l’intensità del sentimento e dello stupore alla fine Lucio li fece recitare a Marco Alemanno nella forma di un testo canzone a cui volle dare il titolo di ‘Io e la mia ombra’. Un inedito scritto per caso dopo che era arrivato in quel posto archeologico della Magna Grecia, lo stesso raggiunto nel Viaggio in Italia da Mario Soldati e prima ancora da Lènormant, George Gissing e Norman Douglas, molte ore prima del maestro Quadrino, ‘beato lui e meno male perché sono stato quattro ore qui e veramente in maniera straordinaria.”. Al direttore d’orchestra Lucio chiese di adattare una mia canzone, che non è una canzone vera, non è una canzone che ho cantato io, e la colonna sonora, il brand, il marchio è l’opera di Tosca che si chiama Amore disperato che ha cantato Mina con me. Allora gli ho chiesto, Leonardo, è il suo nome, ma che bel nome, adattiamo Amore disperato e mi piacerebbe che la gente ascoltasse il testo che ho scritto oggi.”

Proprio per mostrare tutta la sua interiore felicità Lucio intese partecipare ai presenti il suo dialogo con i delfini avvenuto in quell’indimenticabile pomeriggio quando, ammirando in azzurra lontana la linea stabile e attrattiva dell’orizzonte, che solo da queste parti del mondo apparve curva alla percezione sensibile dei greci, cominciò la favola, il suo dolcissimo c’era una volta:

“C’era un tramonto che non potete immaginare, oggi in un momento di tempo, quando sono arrivato alle cinque. Che bellezza che era quel tramonto. E con lui c’era la mia ombra lì. E io che ero soddisfatto della mia ombra perché voleva dire che se andava bene lei andavo bene anch’io. Poi ad un certo punto mi hanno chiamato, vieni a vedere i delfini che sono venuti a mangiare a trenta quaranta metri. E io ne rimasi colpito nel mentre la mia ombra è rimasta lì. E’ stato un momento veramente di grande turbamento. E allora ho detto:ma siamo più importanti noi o l’ombra che facciamo? Perché non è solamente metafisica la cosa. L’ombra è una cosa precisa. Io ho visto delle ombre fare la pipì per esempio. L’ombra rimane. Cioè quello che abbiamo dentro rimane ma anche quello che abbiamo fuori, quello che significhiamo fuori rimane. Quello che facciamo tutti i giorni”.

Un frammento della filosofia dalliana, segmento dello sguardo sulla vita scolpito nel tufo templare dell’area sacra al culto di Hera a Capo Lacinio in Calabria, quel posto dove anche le navi quinquiremi dell’antica Roma si arenavano sulla dorata sabbia sbriciolata di conchiglie fossili e pleistocenici cavallucci marini, perché impediti a oltrepassare il limes del magnetico, elettrico e impressionante Golfo di Taranto, scrigno inviolabile e ancestrale dell’intero Mediterraneo.

A Bologna dove stencil e immaginette della devozione affisse ai muri sono una manifestazione di indubbia suggestione comunicativa, si intrecciano e rimbalzano in percorso segnato dalla grazia di una grafica di strada, l’iconografia del paesaggio musicale a Via Guerrazzi dove ogni sera rintocca il pezzo, la strofa, l’effemeride musicale di un Lucio che ti sembra aprire le finestre della sua casa museo e presentarsi rock sul balcone all’angolo della Chiesa dei Celestini.

Così che pare vederlo e sentirlo il piccolo Lucio bambino che correndo lungo la strada ti viene incontro per dirti con la dolce violenza della vita, carico di quel suo l’eros complesso e diverso che poi sconfigge ogni bruttura:vedete come m’impaccio a parlare. Vorrei dedicare una canzone proprio a quei sette delfini che sono arrivati qua. E sono stati lì con la testa fuori… e porca miseria…se io avessi saputo il delfinese… sono convinto che loro ci volessero in qualche modo parlare.”


Blessed Lucio Dalla different homosexual who knew how to talk to the dolphins - Spit if I guess it might not be so. But four years after his death Lucio Dalla, more alive than ever in the memory, it seems destined to stay still at the center of his fans who passionately silent chain are opening the practice of his cause of artistic and cultural beatification. The result of a warm devotion and unbroken, sympathetic and measured, spatially localized in Via D'Azeglio in Bologna and his tomb in the Monumental city, the 'holy pictures of the singer' along with the spread of a geo-located urban collecting that has the hint of a cult of relics of the singer. All this is seen by small and large signs of dalliana faith that multiply abundant everywhere in his city, materializing in the periodic appearance of mural icons, designed stencil and printed at the crossroads of the historic streets, precious works of art by young artists poor unknown and without signing it are evidence not only of a wellspring and disinterested affection but also the indigenous and original way of rethinking the conventional and standardized iconography of the Bolognese singer-songwriter rock. Somehow linked and conjugated with the most classical forms of what was in From public and personal expression of her very popular religiosity, the now numerous and far uncatalogued wall effigy is portrayed as the face, and sometimes also the means body bust of the singer, are undoubtedly the expression of a local secular cult that takes on the appearance of a domestic devotion that is demand for real memory, materialized in these improvised and flying votive altars, kiosks of worship and thought that are divenentando places a silent pilgrimage, anonymous but visible. So much so that the crowd of Lucio you customize daily in contact and in the inner conversation with the sacred figure of the musician can be observed at all times when he raises his head and turns his eyes to the house of that Bologna became a poor and unknown man who was richer and illustrious than others. So it will be even harder for opponents, controdeduttori, a hypothetical and imaginary cause of beatification, fill a significant index of error and superstition stating heresy on the edge of the excommunication in mind and demonstrate a good and generous life, mild and enchanted. The same who was narrating to Lucio also the extraordinary and miraculous events that occurred in different occasions. Those strange heart events and cosmic mystery that only the solemn choral and evening ritual of concerts celebrated in certain legendary places could confess in front of their home crowd. And among them the curious and beautiful fairy tale, almost a Franciscan story, of his dialogue with the dolphins, who told moved, excited as a boy, in front of an astonished audience with behind the enigmatic backdrop of a nocturnal sea, the Ionian, sublime evocation of ancient myths and odissiache shadows. Almost the same dream and elusive at the foot of Neptune in Piazza Maggiore. _vitobarresi @ CamBioQuotidiano