VITO BARRESI
Cambio Quotidiano Social Online
Le parole in certi momenti sono tanto, persino tutto quello che abbiamo. Soprattutto quando hanno un tono, quando si stagliano nell’ascolto con la forza sacrosanta della testimonianza e della verità. Allora non spostano l’aria, non sono poco, ma sono un arma, un monito, un messaggio che impegna a ricordare, a memorizzare. A ripetere una frase non per riempire il nulla ma per vivificare l’essere, scuotere l’indifferenza, divenire orientamento, suscitare attenzione tra quanti non credevano. Così sono le parole solennizzate da Robert De Niro (“sono venuto qui perché volevo trovare una casa, perché volevo pace, perché volevo essere trattato come gli altri”) nel corto che lo vede protagonista, Ellis, diretto e girato dall’artista francese JR che in quindici minuti esatti porta alla superficie dell’attualità e imprime sulla ‘pellicola’ della storia la grande questione sociale e politica del mondo contemporaneo, l’immigrazione, dando ragione e spessore non ad una transuente ed episodica moltitudine di nomadi ma a una vera e propria classe proletaria che si è messa in cammino attraversando da una parte all’altra la geografia del pianeta, per rivendicare il proprio diritto alla libertà, alla pace, al lavoro, alla giustizia, in sintesi essere una nuova umanità. Robert De Niro incede pensoso e in primo piano, grave e teatrale, calpestando un pavimento di volti a mosaico, non per interpretare una vana liturgia della immagini ma per ricordarci che in quei corridoi tristi dell’Immigrant Hospital dell’Ellis Island ancora si coglie il riflesso acustico di gioia e dolore, speranza e crudele delusione di milioni di emigranti sospinti dalla miseria, dalle persecuzioni, dalla mancanza di libertà, fiduciosi di poter immaginare e conquistare un’altra qualità della vita andando in America. Quando JR ha iniziato a realizzare l’installazione che simbolizza un luogo angolo come l'Ospedale dei Migranti a Ellis, la crisi attuale dei rifugiati era ancora agli inizi. Fu così che nel corso di una visita, l’ispezione dell’ospedale abbandonato, suscitò nel regista tanta impressione ed emozione, una catarsi che lo aiutò a sintonizzarsi mentalmente ed empaticamente con le vicende annodate e sovrapposta in quelle stanze, cogliendone le voci di dentro, il senso del linguaggio odissiaco, i racconti, le narrazioni, le storie di vita e familiari, l'ancestry come dicono negli Stati Unity, di tante donne, bambini, giovani e anziani arrivati in quella postazione doganale e di frontiera, fino ad avvertire il gergo di quelli che ce l’avevano fatta, le lacrime silenti e i singhiozzi amari dei tantissimi che vennero ricacciati indietro. JR e De Niro ci conducono oltre le retoriche propagandistiche dei media che urlano la paura, la minaccia e l'invasione quando magari sarebbe il caso di aiutare la diffusione e la condivisione di una nuova educazione, una più avanzata e seria sensibilità per l'altro, accarezzando almeno in bozza il progetto di una democrazia a socialità più ampia, rinnovata sospirata da quanti sono costretti a lasciare il proprio paese nativo, in uno a spingere verso una connessione con il loro sofferente vissuto. Aiutando le nostre società tanto divise e confuse a unirsi non solo per immaginare ma anche per ambire edificare un contesto istituzionale e civico in grado di centrarsi, ricentrarsi e decentrarsi facendo punto e leva sull’accoglienza. Ben consapevoli che dare forza positiva al pluralismo e alla diversità non è cosa che richiede soltanto lirismo e poetica, tutti siamo altrettanto e abbastanza d’accordo che occorre un supplemento di intelligenza collettiva, di ricerca sociale e politica affinchè la ‘potenza’ proletaria non resti un numero che insorge da ogni altra parte del globo, non si esprima straniera e ostile, in quanto deliberatamente costretta nella miseria e nel sottosviluppo.
ROBERT DE NIRO. Inspection at Ellis Island between the sad corridors Immigrant Hospital - The words at times are so, even all we have. Especially when they have a tone, when you stand listening to the sacred power of testimony and truth. Then they do not move air, not little, but they are a weapon, a warning, a message that agrees to remember, to memorize. To repeat a phrase not to fill the void but to vivify the being, shake the indifference, become orientation, arouse attention among those who did not believe. So are the words solemnized by Robert De Niro, "I came here because I wanted to find a home, because I wanted peace, because I wanted to be treated like the others", in short that he is the protagonist, Ellis, directed and filmed by the artist JR French that in fifteen minutes exactly leads to the surface of actuality and imprints on the 'film' of history the great social question and the contemporary world politics, immigration, giving reason and thickness to a transuente and episodic multitude of nomads but a real and its proletarian class which has set out attarversando across the geography of the planet, to claim their right to freedom, to peace, to work, to justice, in short be a new humanity. Robert De Niro walks thoughtful, serious and not play to interpret an empty liturgy of the images but to remind us that in those sad corridors Island Immigrant Hospital dell'Ellis still catches the gleam of joy and sorrow, hope and cruel disappointment of millions of emigrants driven by poverty, persecution, lack of freedom, imagine and conquer another overseas life. JR when he began making installation that recalls Ellis the refugee crisis was in its infancy. So in the course of a visit, the hospital's inspection abandoned Ellis Island, the aroused such an impression and emotion, to hear the voices in those rooms within, the odissiaco language of so many women, children, youth and seniors in past that customs and border location, the jargon of those who had made it, the silent tears and bitter tears of many who were beaten back. JR and De Niro lead us beyond the rhetorical propaganda media screaming fear, threat and invasion when maybe it would be to help a new education and sensitivity for each other, caressing least in draft project of a different life I longed to be with those who are forced to leave their native country, one to connect with their experienced suffering. Helping not only to imagine but to aspire to build a society that knows how to be centered and decentralize making point and leverage on reception. Well aware that giving positive force to pluralism and diversity is not something that takes only lyricism and poetry, we all tend to agree that a greater amount of collective intelligence, social research and policy so that the '' proletarian power does not remain a number that arises from all other parts of the globe, there remains a foreign and hostile, as deliberately forced into poverty and underdevelopment.