VITO BARRESI
Cambio Quotidiano Online
Anche la più autorevole storica romana Anna Foa, da sempre attenta al senso unitivo della memoria condivisa, non ha più alcun dubbio sulle responsabilità politiche, valoriali, morali, esistenziali di una rottura che segna un solco, un pomerio ‘culturale’ difficilmente oltrepassabile a ritroso, tra la comunità ebraica dell’Urbe e l’antifascismo ufficiale dell’Anpi, divisi in questo 25 Aprile 2016 nell'unitaria celebrazione del comune ricordo della guerra nazionale contro l’orrore nazi-fascista e della conquista libertà. Così platealmente scissa e spaccata la vicenda ormai quasi secolare dell’antifascismo romano, con le sue carsiche correnti d’uomini e maschere, le inconfessabili convergenze con altri ‘mondi’ negazionisti e paralleli, le continue allusioni al distinguo e alla diversità, brodo di coltura di un contesto talvolta opaco, finisce vittima di un'evidente quanto lunga e rancorosa persistenza del mal sottile e grossolano, il 'pregiudizio antiebraico' che ne è stato per una sua parte segno distintivo di orgogliosa superiorità, lo stesso insopportabile carattere oppressivo che oggi viene coraggiosamente denunciato dai rappresentanti della Brigata Ebraica e dell'Associazione nazionale ex deportati nei campi di sterminio (Aned), protestando contro la presenza nel corteo di centri sociali e associazioni filo-palestinesi, considerate anti-israeliane se non antisemite. Un fatto che porta in primo piano nel dibattito politico italiano una insopportabile e inaccettabile latenza perchè “noi che rappresentiamo gli ex deportati, sommersi e salvati, nei campi nazisti, sia politici che razziali, non possiamo accettare che lo spirito e i significati del 25 aprile, della Resistenza, della Liberazione, della Repubblica, della Costituzione e del voto alle donne vengano così totalmente snaturati e addirittura fatti divenire atto d’accusa contro le vittime stesse del nazifascismo”. Come ha osservato la Foa su Pagine Ebraiche “la responsabilità è dell’Anpi, certo. Non ho dubbi su questo punto. Vorrei però ammonire noi ebrei di quello che questa conclusione rappresenta: la fine dell’antifascismo, un antifascismo di cui il mondo ebraico è stato a lungo parte." Ma è anche aggiungiamo noi non solo la fine annunciata di una storia ma anche la rottura esemplare e pubblica di uno specchio d'apparato e di cerimonia in cui noi tutti italiani ci siamo fin troppo ritratti e compiaciuti, spesso ipocritamente, poiché in fondo ci stava pure bene rifletterci cos' senza rancore, evitando di andare al di là delle battutine e degli ammiccanti continuismi, scansando di sondare i vari lascia che poi verso tutti, belli e brutti, proprio ‘ tutti gli uomini del Duce’ come scriveva Bruno Gatta, tornati utili alla ricostruzione di una finta concordia o solidarietà nazionale che dir si voglia. Senza cioè mettere mano ai guasti che il fascismo, come versione italica autoctona e originale, e per questo anche più infida e paludosa, smacchiando la coscienza della maggioranza, ha lasciato inalterato a marcire nella sue più distorte venature carsiche, dentro l’inconscio collettivo profondo di una nazione e di uno stato che ha riconosciuto più o meno ogni tipo di minoranza etnico-religiosa, evitando disinvoltamente di fare i dovuti conti con la diversità ‘comunitaria’ di quella ebraica italiana. Superare i condizionamenti e la paura, recuperare ogni prezioso apporto di pluralismo e di diversità, mettendo fine alla nullificazione dei valori essenziali che ha fatto ‘strage’ del significato del 25 Aprile, non può più essere vissuto come una scelta che fa scandalo. Al contrario si tratta di dare avvio aperto e libero a un più ampio squarcio di luce, aprendo una fessura che spacca la torre di mezzo delle facili certezze nazionali, entrando dentro l’oscurità di pagine non ancora asciugate da ambiguità, rimorsi, rancori sopiti, incomprensione e palesi ingiustizie, ripeto pregiudizi persino toponomastici, nei confronti del fratello e familiare mondo ebraico italiano, europeo e romano.
Sarà anche per questo che la definitiva conclusione delle vecchie e stanche liturgie unitarie che fin qui sono state un modello unico di memoria, una rappresentazione fin troppo edulcorata e ideologizzata del ricordo, cementati nel rituale di un fasto celebrativo monocolore, possono e devono essere rimesse in discussione per evitare che odiose derive, che puntano sulla strumentalizzazione dei concetti di razza e differenza di religione, divengano ancora incitamento di persecuzione e morte. Da qui l’importanza di non obliare l’esempio dei giovani ebrei della Brigata ebraica, giunti dai ghetti d’ogni parte d’Europa, che con le armi in spalla combattÈ per la libertà, affiancandosi ai tanti italiani che agognavano la stessa libertà.
Non credo, scrive ancora Anna Foa, che “in Italia ci possa essere un antifascismo senza ebrei, e credo che da parte sua il mondo ebraico abbia bisogno di richiamarsi all’universalità di quei valori, di quella memoria condivisa. Perché essere obbligati a restare fuori dalle celebrazioni della Resistenza, Resistenza a cui tanti ebrei hanno partecipato in quanto italiani, è una sconfitta per tutti: per noi ebrei, nuovamente separati dagli altri italiani nel celebrare una Liberazione che avevamo pienamente condiviso con loro settantenni fa, per la memoria dell’antifascismo e della Resistenza, per quell’idea di antifascismo su cui si è costruita la Repubblica italiana. Credo che l’Anpi romano dovrebbe fare una seria riflessione su questo punto: sul fatto di avere, per motivi politici, sacrificato la presenza degli ebrei nella celebrazione ai rapporti con centri sociali e movimenti antisionisti quando non decisamente antisemiti”.
THE MARCH OF THE JEWISH BRIGADE AGAINST MONOPOLY ANTIFASCIST ROMANO - Even the most authoritative historical Roman Anna Foa, always attentive to the unitive sense of shared memory, no longer has any doubt about the political responsibility, value, moral, existential of a rupture that marks a groove, a pomerio 'cultural' hardly be crossed back , between the Jewish community and the official anti-fascism dell'Urbe PNA, divided in this April 25, 2016 celebration converging into the common memory of the national war against the Nazi-fascist horror and conquest freedom. So blatantly split and split the story now almost a century of anti-Roman, with its current karst of men and masks, the convergences with other unmentionable 'worlds' deniers and parallel, the constant allusions to the distinction and diversity of culture broth sometimes an opaque context always crossed by an obvious how long and rancorous persistence of a thin as crude anti-Jewish prejudice, the same as today courageously Jewish Brigade and the national Association of former deportees in the death camps (Aned), protesting against the presence in march of social centers and pro-Palestinian associations, considered anti-Israeli if not anti-Semitic, brings up the Italian political debate, because "we who represent the former deportees, submerged and saved, to Nazi camps, both political and racial, we can not accept that the spirit and the meaning of April 25, the Resistance, Liberation, the Republic, the Constitution and the vote for women are so totally distorted and even become made the same accusation against the fascism "victims. As noted by the Jewish Foa of Pages "is the responsibility of the PNA, of course. I have no doubt on this point. But I would warn us Jews of what this conclusion is: the end of antifascism, an anti-fascism of which the Jewish world has long been part of. But it's also add that we too can break a mirror in which we all Italians we too complacent, often hypocritically, because after all he was good as well we think about it without ever going beyond the winking continuismi, without probing the various leaves which then toward all right 'all the Duce men' as he wrote Bruno Gatta, returned for the reconstruction of a pretend harmony and national solidarity, if you prefer. That is, without trying to repair their fault that fascism, as autochthonous and original version and therefore also more treacherous and marshy, smacchiando the consciousness of the majority but leaving unchanged in its most distorted veins deep karst the collective unconscious of a nation and a state which it recognized more or less any kind of ethnic-religious minority, and never have to deal with diversity 'Community' of the Italian Jewish. Overcome the burdens and fear to recover any valuable contribution to pluralism and diversity, ending the nullification of the essential values that made 'massacre' of the meaning of April 25, it can no longer be seen as a choice that caused a scandal. On the contrary it would be a broader glimpse of light, a crack that splits the certainties of the tower, in the darkness of pages not yet dry from ambiguity, regrets, grudges, misunderstandings and blatant injustice against the Jewish world Italian, European and Roman. VITO BARRESI Change Daily Online