RABBI WOLFF. VITA DI UN RABBINO COME IN UN FILM

17 maggio 2016, 11:02 100inWeb | di Vito Barresi


VITO BARRESI
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Può la vita di una rabbino diventare un film, una poetica della propria esistenza? Certo che sì se il Rabbi si chiama William Wolff e la regista risponde al nome di Britta Wauer che con la sua cinepresa ha raccontato in una fulminea ed efficace sintesi d’immagine, molto ritmata ed evocativa, la più profonda sonorità parlante, le voci e le impressioni di un mondo immenso, a tal punto complicato e incalcolabile, sfumato e riecheggiante, che seppure guardato da qualsivoglia angolatura, dall’alto o dal basso, di lato e di traverso, in ogni modo ne vengono fuori comunque dei sunti, neanche più tanto intensi come sono le storielle ebraiche recitate da uno che di queste cose se intende davvero a pelle. Lo stesso che calava il sipario su uno dei suoi indimenticabili spettacoli in teatro con una ‘parabola’, davvero degna per racchiudere il senso di questo più recente documentario su un ‘sacerdote’, un uomo di spirito e di spiritualità, l’anziano rabbino berlinese di cui si dice nel titolo. E cioè che se tornassero i maestri del 'breshit rabà', commentario talmudico della Genesi, si domanderebbero con lui di fronte, più o meno questo: “Cosa faceva il Padrone dell’Universo prima di creare il nostro mondo? Creava mondi e li distruggeva, si rispondono, alla ricerca di un mondo che fosse consono al suo progetto. Non era facile, c’era il rischio di troppa morbidezza o troppa rigidità o troppa incertezza. Sembra che il nostro mondo sia, secondo calcoli cabbalistici, il risultato del ventottesimo tentativo e che contemplandolo, l’Eterno, sia benedetto il suo Nome, abbia sospirato e pronunciato le seguenti parole ebraiche: 'halevaii she yaamod!' Speriamo che tenga! " Ed è questo in fondo l’augurio che si può fare per il suo debutto cinematografico, quell'anteprima che qui si vide in video, dove si narra vita opere e pensiero, sorriso e riflessione di un reĺigioso indo-europeo, contemplazione dell’unione tra oriente ed occidente, a Rabbi Wolff, un sommo sacerdote tedesco ma molto, molto british, nativo e radicale, maestro di una fede impastata di cultura antichissima, sensibilità millenaria e d’avvenire, che in lui per selezione, elezione e predilezione è divenuta l’essenza stessa, di uno di noi, uno di loro.


Un ebreo che ci da lezione di testi non solo perché è memoria di un sopravvissuto ma fondamentalmente, e qui credo personalmente ci sia la novità esposta da questo film (da poco nei circuiti e nelle sale in Germania e in Inghilterra ma non ancora in Italia) perché Rabbi Wolff, con la sua tenacia fino al limite di una leggendaria semplicità del vivere quotidiano, ha saputo testimoniarci che si può uscire dal vecchio mondo novecentesco con le sue diaboliche e infernali brutture.

Cioè che accanto all’adamantina, struggente umanità del nostro Primo Levi, che per non soccombere alla logica del dopoguerra gagliardo e ilare alla fine reagisce stoicamente di fronte all’immane peso della storia, si può anche e soprattutto abbandonare con orgoglio e dignità il devastato palcoscenico morale ed etico del secolo trascorso, le stanze e gli androni alla Kiefer del dolore e dell’incomprensione, il Novecento dello Sterminio e della Shoà, per approdare sulla riva di un mondo nuovo, azzurra lontananza, solare energia della luce, un altro tempo con diversa e affermativa prospettiva di superamento, l’avvento chiliastico e non utopico del principio della vita contro ogni logica della morte.

Per cui Rabbi Wolff appare in questo film più che un uomo schiacciato dalla modernità, più che un vinto nella saga del titanico annientamento ideologico e militare, un uomo della contemporaneità, ancora un figlio e non solo un padre di queste ultime generazioni di giovani dispersi e alla ricerca di un tempo spirituale pregno di verità, autenticità e significati.

La lezione che si può trarre dal docufilm sulla vita di un rabbino, di questo uomo di fede, a me pare sia essenzialmente quella di un richiamo forte al ragionamento e all’incanto della parola, del fiato, dell’argilla, dell’impasto, della costola.

In buona sostanza alla prassi dell’umano contemporaneo che è cosa è diversa da quella trascorsa, e non più riducibile ad essa.

Spazio in cui il nostro compito di ’sopravvissuti’, dico di tutti, dalle infamità del Secolo Breve, è semplicemente quello di aver gioia, non per forza come nonni e pensionati di stato e del welfare, di tenere per mano la genitorialità e la generazionalità.

All’insegna non solo quantitativa ma all’opposto qualitativa del motto testamentario ‘crescete e moltiplicatevi’.


RABBI WOLFF. LIFE OF A RABBI IN AS A FILM - Can the life of a rabbi to become a film, a poetry of its own existence? Of course you do if you called Rabbi William Wolff and the director by the name of Britta Wauer who with his camera told in a swift and efficient image synthesis, very rhythmic and evocative, the deepest speaker sounds, voices and the impressions of an immense world, to such complicated and incalculable point, nuanced and echoing, that even if looked at from any angle, from above or below, to the side and across, in every way they come out anyway abstracts, even more so intense as are the Jewish stories told by one that if he really intends to skin. The same that closed one of his memorable performances in the theater with this 'parable' really worthy to enclose the meaning of this recent documentary on a 'priest', a man of spirit and spirituality as the old Berlin rabbi. And that is that if they return the masters of breshit Rabà, Talmudic commentary of Genesis, would wonder with him in front of something like this: "What did the Master of the Universe before creating our world? Created worlds and destroyed them, they respond, looking for a world that was suited to his project. It was not easy, there was the risk of too soft or too stiff or too much uncertainty. It seems that our world is, according to Kabbalistic calculations, the twenty-eighth attempt results and contemplating it, the Lord, blessed be his name, he sighed and uttered the following words in Hebrew: halevaii she yaamod! Hopefully that takes! And this is basically the hope that you can do for her film debut which tells life works and thinking, smile and reflection of an Indo-European priest, contemplation union between East and West, in Rabbi Wolff, a German high priest but very, very British, native and radical, master of a mixed culture of faith, millennial sensibility and of the future, which in him for selection, election and predilection has become the very essence, of one of us, one of them. Vito Barresi Cambio quotidiano social online / cn24tv.it