SALA PARTO E FIOCCO ROSA. IL TRAVAGLIO DI PAPA’

FAUSTO ANDERLINI
Cambio Quotidiano Social Online


La rottura della acque si palesò improvvisa alla sera, a tavola con amici, nei pressi delle arcate del Pontelungo, a una festa dell'Unità. Esattamente ventotto anni fa e un giorno. Tanto è il tempo che è passato. La sala travaglio risuonava a tal punto di lamentazioni che sembrava una camera di tortura. Le donne vagavano per i corridoi trascinandosi in preda alla smania, si levavano dal letto in continuazione e strisciavano rantolanti e semidiscinte lungo le pareti. In vestaglia e ciabatte, senza mutande. I consorti le seguivano saltellando con i piedi fasciati di garza e partecipavano imbarazzati di quella orgiastica promiscuità senza sapere che fare. Mentre le ostetriche si muovevano da una stanza all'altra adunandosi a consulto attorno alle vagine delle partorienti, riverse sul letto a gambe spalancate, per misurarne la dilatazione. Un'esperienza collettiva. Un genere molto particolare d'intimità. Una palestra, una fornace, una sezione di partito, di madri e di padri in statu nascenti. Il travaglio fu lunghissimo. Le doglie sembravano non finire mai. Giunta al punto limite la gestante cominciò a gridare e a chiedere a gran voce qualsiasi cosa potesse far tacere quel tormento: la peridurale, una qualche anestesia totale, persino il taglio cesareo. Ma invano, perchè il ginecologo aveva classificato il caso come un decorso perfettamente naturale. Quasi una rarità. Della quale andava molto orgoglioso. Fui trascinato in sala parto mio malgrado e invitato a tenere sollevata, da tergo, la testa della partoriente, la quale, giunta in prossimità dell'evento e divenuta consapevole che il dolore stava per finire si abbandonò a un'estatica rilassatezza. Da quella posizione non vidi i dettagli dell'operazione, ma solo il prodotto finito, che fu levato in alto come un leprotto tolto dal cappello del prestigiatore. Ad assistere il parto c'erano delle giovanissime novizie vestite come suore di un convitto ed erano così emozionate che si misero a piangere come se l'avessero partorita loro, la bambina. Continuavano a dire che era bellissima e mi invitavano a guardarla tutte estasiate..


A mezzogiorno (credo che il parto avvenne a metà mattina) di quel sabato ero sfinito. Andai a casa. Mi feci una doccia e feci in tempo a guadagnare il Trigari dove si giocava una partita del campionato amatori. Malgrado avessi fatto la notte in piedi e fossi a pezzi giocai divinamente. Dribbling, imbucate, tiri, smarcamenti... danzavo leggero come una ballerina. Non sentivo peso e fatica, solo piacere. Perdemmo tre a zero, ma tutti si complimentarono con me per quelle giocate irresistibili. E a tutti io dicevo che ero diventato padre di una bambina proprio tre ore avanti.

Di lì a poco, Lei, poi, ebbe una montata lattea così potente che i dottori la siringavano e davano alimento a tutti bambini del reparto. Della qual cosa io andavo orgoglioso come un contadino. Infatti la bambina bevve il latte materno come unico alimento per tutto il suo primo anno di vita.

Per il nome mi affidai al manuale della Chicco, assieme alla madre. L'attenzione si fermò su Vera, nome breve e non molto in uso, perchè in quel tempo stavo leggendo un libro di Braudel dove c'era una digressione sulla distinzione fra la visione slava della fede (da cui Vera) intrisa di misticismo e quella latina (veritas) più versata all'oggettività. Il nome mi piaceva, l'apparato concettuale era di rilievo, e perciò, madre convenendo, così la creatura fu registrata all'anagrafe. Il momento in cui l'io, l'identità, comincia ad esistere con tutte le conseguenze del caso. Nome e cognome. Un atto amministrativo, appunto.

L'emozione di quei giorni fu intensissima, specie nel momento clou in sala parto. Mi sentivo investito da un sentimento talmente forte e grandioso che non l'avrei mai dimenticato. Ma non saprei dire se è andata così. Anzi adesso che ci penso, è la prima volta su ventotto che questo 28 Maggio, giorno del suo compleanno, mi vengono a mente questi ricordi. Fui padre, cazzo ! Giovane uomo onnipotente, per tramite della madre, e della figlia. Mie adorate. E se anche non son stato nel giusto in innumerevoli occasioni, almeno questa notte mi compiacerò di dormire il sonno del padre.