IL CODICE ROSSO DA ROMA TORNA A ROSSANO

15 giugno 2016, 17:37 100inWeb | di Vito Barresi

Vito Barresi
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In una città ridotta a codice zero per via del contestato e ancora amaro esito che portò alla definitiva chiusura dello storico Tribunale di Rossano, dopo che gli avvocati del foro furono costretti a gridare giustizia per la propria sede giudiziaria salendo in conferenza stampa su un tetto che scottava d'asfalto, come muezzin del mondo forense meridionale, vale a dire in una battuta ‘avvocati sul tetto che scotta protestarono a codici chiusi’, almeno un codice anche se rosso torna nella sempre bellissima e ricca di reliquie e storia città dell’Alto Jonio calabrese. Codex Purpureus Rossanensis, come la rosa purpurea del Cairo alla Woody Allen, opera di sicura suggestione e inestimabile valore, rivede la Calabria dopo gli ani del restauro capitolino, pronta a ripresentari ai suoi tanti devoti e ammiratori nella prossima stagione estiva come vera, rara e grande occasione culturale, per mettere in primo piano il complesso fascino della Calabria. Del Codice se ne parlò la prima volta nel 1846 quando un giornalista napoletano Cesare Malpica ne fece cenno nel taccuino di un itinerario di viaggio che portava il titolo di La Toscana, l’Umbria e la Mgna Grecia. Un viaggio che si svolse nel 1845 e che portò il reporter della Reggia borbonica a imbattarsi con un tesoro unico per fattezze artistiche e artigianali, un libro sacro e di cerimonie simboliche che sul modello della simbologia del potere imperiale porta nella simbologia della sacralità cristiana il colore della porpora, con l’intento di dare al libro e al testo l’importanza di un oggetto di adorazione, ponedosi quella coloritura quale simbolo del regno di Cristo. Una galleria iconografica di estatica bellezza, che di recente è stata messa al centro di un tavolino in un grande e sontuoso salone di ricevimenti, un tempo papali, poi di casa reale e ora repubblicani, dove brillarono i colori purpurei, le figure disegnate, i caratteri miniati davanti ai quali qualsiasi umanità culturale, ogni autorità religiosa o politica non può che piegarsi, anche se solo per un istante, quasi in solenne atteggiamento di raccogliemento e meditazione. Così apparve quel giorno il Codice Rosso al Quirinale. Il meraviglioso e inestimabile Codex purpureus che venNe dall'Oriente, certamente dalla Siria, area nella quale con più verosimiglianza, dove il libro venne miniato e prodotto, forse ad Antiochia, che ancora racconta, come fosse un antico fumetto, l'immaginario e le parole di Marco e Matteo, l'alba calda e luminosa della Buona Novella di un proto cristianesimo ampiamente da risondare e risvelare. Un evangelario greco miniato risalente al V inizio VI sec. di origine mediorentale, portato a Rossano da qualche monaco in fuga, memoria di altri migranti tra il qui, l'ora e l'altrove occidentale del sempre millenario palcoscenico del Mediterraneo. E per quel si conosce dentro il flusso di un processo di ellenizzazione dell’Italia bizantina nel corso del VII secolo, segnato e solcato dalle ondate di greco-orientali dell’Egitto, della Palestina e della Siria, spinti in Occidente – nell’Italia meridionale, in Sicilia e a Roma - dalle costanti e violente incursioni arabe e più tardi dal deflagrare del conflitto iconoclasta. Nello sguardo delle illustri personalità che accolsero in cima al Colle, quel che divenne immediamente il simbolo della visita di Francesco al Quirinale, chiunque colse lo stupore e l’ammirazione di fronte alle pergamene color porpora, manoscritte in 188 fogli, il testo greco dei Vangeli di Matteo e Marco, scritto in maiuscola biblica con eleganti caratteri onciali in oro e argento, che continua ad alonare la propria fragilità con la forza intensa di un'aura che incanta per via invisibile la sua piccola forma. Più che mai vivida testimonianza che accompagna il dialogo tra fede e ragione, storia e memoria italiana, europea e mediterranea che tempera d'armonia la mente e l'anima, arrivato nelle sale del Presidente della Repubblica, dopo il restauro capitolino, dalla Calabria greca e bizantina di Rossano. L'antico evangeliario, custodito nel Museo Diocesano della città calabrese, venne presentato dalla direttrice dell'Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario, Maria Crisitina Misita, e dall’allora vescovo di quella arcidiocesi, mons. Santo Marcianò. Icona d'arte, mistica e spiritualità il Codice Rosso nelle Stanze del Quirinale, come fu per i Bronzi di Riace, pose la Calabria non fuori ma in testa al mondo, d'oggi, di ieri e del futuro.