Gustavo un nome e un senso. Un sapore di delizie gelate, un sapere di raffinato gusto letterario. Diceva Flaubert che i gelatai sono tutti Napoletani. Ma si sbagliava. Poiché il grande scrittore francese amante dei viaggi in Italia e in Oriente non contemplò un margine d’errore almeno pari a uno diverso, cioè il gelataio di Bologna della premiata ditta la Cremeria. Un posto dove se vuoi puoi immaginare di assaggiare il gelato dell’indimenticabile e malinconica Madame Bovary proprio come quando “Lei mangiava allora un gelato al maraschino, che teneva con la mano sinistra in una conchiglia dorata, e socchiudeva gli occhi, il cucchiaino tra i denti.”
Alla Cremeria di Santo Stefano c’è un altro tempo, un mondo diverso dove sospendi il rumore che c’è in te per obbedire al silenzio del senso palatale. Lo stesso che ti convince senza un briciolo di rendiconto di vivere questo ‘istant-cream’ molto realisticamente in un ‘con/testo’ narrativo parallelo. Un piccolo pezzo di mondo fantastico che suona al bivio di un vicolo tortuoso di spazi angusti. All’angolo, il corner, di un sentiero di mura e dimore che insieme sfocia nell’arteria larga e sferragliata di antichi bicicli, perennemente in diurna lotta con sempre sovraccarichi trasporti urbani, tradotte di città in viaggio verso solitarie semiperiferie che portano sulle fiancate delle loro corse cittadine clamorosi annunci di profetica mobilità urbana. Se ti fermi non accedi a un sito seriale. Insomma non ti appoggi a un impersonale banco di gelateria industriale, dove a porgerti il cono è una commessa del jobs act. Qui vai oltre, percorri un perimetro di cristalli, sali al piano più elevato della memoria del gelato come quando gli angeli cantavano con Mogol e Battisti, “il carretto passava e quell'uomo gridava "Gelati". Al 21 del mese i nostri soldi erano già finiti. Io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti, il più bello era nero coi fiori non ancora appassiti…”.
E’ forse ciò che si chiede la nuova generazione dei gelatai bolognesi cresciuti in casa Cavallari? Che anno era, che giorno era? Era solo quello, e non anche questo il tempo, di usare due recipienti, il primo più grande in terracotta o legno che conduce poco calore, in cui mettere ghiaccio e sale da cucina, perché il trucco c’è e non si vede, quando il sale riduce la temperatura di congelamento al di sotto dello zero, conservando il freddo più a lungo? E nel secondo comodo di metallo, che andava messo dentro a quello col ghiaccio, ci versavi pian piano latte, zucchero e la frutta frullata preferita? Girando, girando con un mestolo di legno dopo mezzora la crema si trasforma in una pasta. Ridi, ridi, ridi pure e non pensarci… adesso almeno, comunque sappi che sei in una scena di deliziose conserve e marmellate da gourmet, nella ‘candit-camera’ di esotiche leccornie, cheese-cake, dessert e breakfast. E ci restiamo felici e freschi, sorridenti e sopraffati dalla sosta e dal languore di un’onda di refrigerio sentimentale nella calura desertica della città che corre. Leggiamo l’incorniciata carta dei gelati, il menù della giornata. Ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini sulle vie delle spezie, tra le latterie della fattoria nel sogno, tra i frutteti di montagna e le limonaie del sud, i cedri mistici del Libano e quelli di Santa Maria, tra i profumi e gli aromi del Mediterraneo.
Elenco onirico che parte dalla Crema delle Zitelle con mascarpone, e si allunga con la Crema Sette Chiese alla vaniglia, la Crema con scorze di Limone, il Pistacchio di Bronte, il Nocciolo di Cravanzana, il Budino di Provenza, Cioccolato del Santo, Pistacchio Salato del Bosforo, limone, lime, mandorle, caramello al sale con biscotto alla cannella… Torte e forse pure qualche vera ‘madelaine’ freddissima. Che a richiesta ti verrà riscaldata con la brioches, davanti a un sipario di realismo che si apre d’incanto su un’antica sala cucina trasformata in un algido laboratorio d’alta artigianalità emiliana, italiana. Laboratorio creativo pulitissimo, d’un ordine impeccabile, di trasparente garanzia igienica, che sorprende e non ti aspetti per le suscitanti suggestioni palatali. L’industria dei gelati non è la stessa cosa della fabbrica artigiana. A differenza della prima in quest’ultima non si producono elevate quantità di aria fredda, più o meno la stessa che farebbe sul mercato del ‘bad-food’ concorrenza all’aria fritta, ma superiore qualità delle combinazioni nutritive contenute negli ingredienti naturali. Nella produzione all’antica l’aria viene miscelata ai componenti di base nel corso del raffreddamento. Un passaggio produttivo che un tempo si effettuava manualmente poi sostituito dalle macchine gelatiere, con le pale che tessono l’impasto mentre avviene la rotazione. Il gelato industriale, al contrario, è la risultante di un’insufflazione di aria compressa nella miscela degli ingredienti che fa salire la percentuale normalmente intorno al 30% del volume nell’artigianale al 150% dei coni soft confezionati.
Di certo il romanziere dell’educazione sentimentale non avrebbe immaginato che degustando un gelato o una coppa alla Cremeria di Via Santo Stefano si sarebbe ritrovato come noi, e come tanti altri entusiasti e soddisfatti assaggiatori di passaggio (già anche i francesi sulla home del social lasciano una bella dedica) in quella sua indimenticabile pagina, pressappoco attorno al centinaio, che poi dipende dalle edizioni, dove si narra di Madame Bovary ritratta con lo sbalzo impressionista dei colori di un Renoir della scrittura, in un attimo sensuale, come qui tra granite, gelati dai gusti creativi e leccornie serviti in un piccolo locale dal tocco rétro.