UNO SGUARDO SU PIERO FASSINO

FAUSTO ANDERLINI | Sociologo
CAMBIO QUOTIDIANO SOCIAL ONLINE


E' bello, e soprattutto istruttivo, ascoltare l'intervento di Fassino in quel lupanare di idioti, di rozzi e ignoranti che è la Direzione del Pd. Un saggio smilzo e decoroso, quello di Piero, di buona metodologia politica tardo-gramsciana quale imperava ancora nel fu Pds-Ds. Fassino usa due categorie interpretative critiche. In primo luogo la trappola dei 'due tempi': le riforme si fanno ora ma gli effetti sono differiti oltre l'orizzonte visibile, sicchè il tempo presente è un limbo nel quale i dannati pagano i costi della crisi che ipotetiche riforme in itinere vorrebbero sanare. Dell'avvenire le masse (strati poveri e ceti medi impoveriti) non hanno contezza e perciò retro-agiscono. Tanto più che il 'riformismo' - questo è il secondo spartito - procede dall'alto, e quello del Pd non è da meno, programmaticamente avulso dalle masse, disincarnato dalla loro vita. Discorso che non farebbe una piega, non fosse per due particolari: l'orizzonte, non è affatto ignoto alle masse, al punto che esse imputano alle riforme targate Pd (job act, scuola, costituzione ecc.) parte della loro triste condizione; inoltre il riformismo (o meglio il reazionarismo) dall'alto, privo di mediazione politico-sociale, cioè senza partito impegnato nell'integrazione sociale, è un tratto costitutivo del Pd. Le cause del tracollo Pd sono evidentissime, e solo l'assenza di pischiatri in sala ha potuto permettere a Renzi di richiamare una difficile intelleggibilità del voto (grottesco il confronto Rimini Bologna, quando aveva Sesto Fiorentino vicino a casa). Il quale Renzi procede sulla strada del piccolo cesarismo d'accatto e non può fare altrimenti. Cedesse al principio della razionalità collegiale e di programma (ciò' che i rozzi ed esultanti peones identificano con il caminetto inciucista e correntizio) per lui sarebbe finita. Perciò il Pd di Matteo, come lo chiamano tutti, Fassino compreso senza tema di far pena, andrà avanti. Sino all'apoteosi, o, come più probabile, sino allo schianto. Già adesso il fiorentino e i suoi sodali restituiscono un'atmosfera da bunker hitleriano. Vedremo se avranno il coraggio, alla fine, di brindare col cianuro o di ballare nell'autodafè fra tarallucci e vino.


Conobbi da presso il Piero a suo tempo, quando frequentavo il consiglio nazionale del Pds. E' sempre stato un mezzosangue, un centrista modernizzatore. Prima mezzo migliorista e mezzo occhettiano. Poi, salendo alla segreteria dopo Veltroni, mezzo veltroniano democratico e mezzo dalemiano socialista, per quanto la malleveria di D'Alema sia stata decisiva per portarlo al soglio. Da quella posizione intermedia a geometria variabile ha sempre cercato di sottrarsi ai condizionamenti per giocare in proprio. Senza mai riuscire, tuttavia, a crearsi un seguito e una nervatura di potere propri (lo stesso Chiamparino lo appoggiò solo in quanto suo concittadino). Il suo unico seguace era Roberto Montanari, all'epoca il segretario regionale dei Ds succeduto a Zani. Un tipo facondo, simpatico e voluminoso (per contrappasso al grande magrone) che adesso è sparito di scena, forse disperso nelle nebbie golenali di Argenta. Va detto che Fassino ha molte virtù, e mi è dispiaciuto vederlo perdere così malamente. Anche se ho sempre pensato che fosse più un politologo che un politico, un buon analista sottratto alla carriera accademica più che un leader capace di contagiare e guidare, trasformando la sua passione in un sentire collettivo concreto. Ogni volta che lo sentivo parlare mi dicevo: cazzo, ma qui non siamo a un seminario del Cattaneo. Bastando per quello, e avanzando ad abundantiam, Parisi e i coniugi Gualmini-Vassallo.