Peppe Ursino. L’importanza “dialettica” del Mercato

26 luglio 2016, 15:49 Trasferta Libera

Vito Barresi
TRASFERTA LIBERA| CN24


Sul suo cartellino vanta oltre 21 anni di onorata carriera senza mai un giorno di ferie se non cinque che sono diventati quasi leggendari come la famose giornate risorgimentali di Milano. E vai che già questo ci sta per tratteggiare il carattere stoico ed essenziale di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita al sogno pitagorico e che risparmiando un pò su tutto il suo contesto affettivo ha riservato cuore e passione soltanto al suo lavoro. Poi niente altro se non a colazione, pranzo e cena, pane e Crotone senza alcun altro companatico.


La sua è una memoria simile a quella di un treno del sud, i vagoni di popolo e gente che partirono dal basso come garibaldini a Quarto per raggiungere le stazioni importanti delle più lontane ed elettriche città.

Peppe andò via dal suo paese, Roccella Jonica, uno snodo ferroviario dove cambia la scena aspromontana della Calabria Jonica, che era ancora un ragazzo. Anche se il suo cuore da quel posto non si è mai spostato, che poi realmente non ha abbandonato. Uno di quei luoghi dove l’uomo si fa forte nell’età breve della gioventù alvariana, un punto geografico al limitare di tante altre Calabrie, ovunque ma mai come là accentuatamente plurali.

Qui infatti l’identità del calabrese jonico si struttura con lo scambio e si cangia linearmente da reggina in catanzarese. Combinando così in un solo carattere, molto particolare, la psicologia degli abitanti, sospesi tra due mondi, capoluoghi eterni avversari nel tempo, la millenaria Reggio e l’unitaria Catanzaro.

Lì, su quell’abbagliante marina di sabbia bianca che unisce e confina con l’immenso azzurro di uno Jonio profondo, di Peppe ancora si ricordano tutti e più che mai con un gran bene. E si dice di quando appena giovanotto di buona famiglia e belle speranze già il suo nome s’accennava sul diario del blasone locale, nella rosa ufficiale degli amaranto del Roccella Jonica, associazione sportiva fondata nel 1935, club di calcio che ha persino vinto una Coppa Italia Eccellenza Calabria per poi essere promossa dal campionato di Eccellenza, con quattro giornate di anticipo, al campionato di serie D.

Su quei campi d’argilla, che d’estate erano duri come pietra calcare, in autunno morbidi ed elastici e in inverno son pronti a tramutarsi, improvvisamente, in un pantano di fango e pozzanghere, lui entrò nel mondo del calcio, inferno e paradiso, ingrato e magnanimo, con l'ignara innocenza che forse sarebbe stato il suo tappeto volante.

Da quel lì proprio in fondo, sul marginale bordo campo d’Italia, dove le alluvioni spazzano pure l'unico binario triste e solitario, decollava con un'incosciente visione di futuro la sua storia di vita, l’account in cui la polvere del dialetto reggino si è fatta lingua del calcio italiano.

Poi la palla rotonda e senza smussi si mise a girare su una strada sempre più aperta e chiara. E se, come scrisse Corrado Alvaro ‘la favola della vita m’interessa più della vita’, Peppe ci ha creduto andando subito a sfangarla nell’Adelaide di Nicastro (ma che bel nome per una squadra in terra di sottosviluppo) poi approdando sulle rive pitagoriche di un Crotone Calcio passato per derelitte stagioni e vicissitudini, sprofondamenti di gironi, cambi di proprietà, fallimenti in Lega Calcio, finché, avrebbe detto il Repaci, non venne il giorno dei fratelli Vrenna.

Che furono per Ursino quel che per Leonida sono stati i Fratelli Rupe della sua saga letteraria in Mondadori. Con loro inizia una scalata che dal sottoscala del grattacielo del pallone di provincia porta la squadra del Crotone sulla terrazza spettacolo del calcio italiano.

Una di quelle affacciate sul resto del mondo, sul mercato sottostante per dirla in termini di sociologia dei consumi calcistici, da cui adesso lui vede tutto dall’alto, a volo d’uccello, ma si intuisce in un attimo, chiudendo gli occhi e sentendo palpitare il cuore, che non è stato un miracolo venuto dal cielo, ma un successo costruito, giorno dopo giorno, scolpito anno dopo anno, agguantato campionato dopo campionato, restando sempre con i piedi per terra.

Hai voglia a fare le domande trabocchetto a Ursino. Nel suo ormai classico e proverbiale ‘ursinese’, uno slang linguistico su cui studierebbero volentieri e con gusto grandi glottologi come il tedesco Gerard Rolfh e il gallese John Trumper (tanto da chiedersi per aggiornare i loro dizionari, ma quel fonema di Ursino è sidernese o cutrese, davolese o botricellese, è ‘fricativo’ o ‘occlusivo’?), il reggino di Roccella diventato il top manager della Calabria, l’uomo macchina più importante della città, trova sempre una risposta laterale che rimette in pista il suo unico argomento, quello di sempre e di una vita: il calcio, il Crotone, i calciatori, il mister, la squadra, i fratelli Vrenna.

Mirante, adesso in porta a Bologna, Foggia, Aronica, Giampà, Gastaldello, Budimir, Paro, Ricci, Maietta, Cataldi, Florenzi, sono solo alcuni dei campioni che ha fatto scendere in campo andando a caccia sul difficile mercato dei calciatori, sempre dimostrando intuito e sicurezza, correttezza e affidabilità, anche nella scelta dei tecnici del Crotone tra i quali Cuccureddu, Menichini, Papadopulo, Gasperini, Juric.

Un orgoglio per la Calabria che guarda con sempre maggiore simpatia e si avvicina in massa a quella che è già la stagione d’oro del calcio crotonese. Ursino non si scompone e continua il suo lavoro sui mercati nazionali ed esteri. La sua dialettica ormai la conoscono ovunque. Parla in corretto calabro-italiano, ha dalla sua la vibrante ansia di raggiungere migliori traguardi assieme al figlio Graziano. E appena può gli scappa naturale esclamare quella tipica battuta in dialetto calabrese… "vidisti… cciù dissu eu che…"

Sempre ottimo il rapporto con i calciatori. Per non parlare poi del tacito, persino romantico feeling con la tifoseria, gli ultras, le curve. Ursino a Crotone dunque è divenuto con l'abnegazione e senza mai mettersi troppo in vista, con tatto, una vera e propria istituzione che sa di giocare sempre dietro le quinte, più nello spogliatoio del gioco che non nel rettangolo, più prima e dopo i novanta minuti che durante, comunque mai con la testa fuori dal campo sia all’andata che al ritorno. Al suo felpato colloquio con la risorsa umana che fa una squadra vincente si devono tante indimenticabili vittorie fino al glorioso successo della serie A. 67 anni in piena attività, un grande giovane vecchio del calcio nazionale. Che ha fatto 'epoca' non per uscire di scena ma per restare ancora per molto con la palla al centro.