VINCENZO FALCONE | Economista CAMBIO QUOTIDIANO SOCIAL ONLINE
" Si ha vera democrazia quando il potere non è nelle mani di pochi, ma dei più". Questa frase dello storico greco Tucidide era stata inserita quale introduzione al “Preambolo” del progetto di Costituzione Europea, poi sostituta dal Trattato di Lisbona. Ma, Tucidide aggiungeva, anche, da grande politologo dell'epoca, che, nella realtà, "la democrazia, di nome, è governo del popolo, di fatto, lo strapotere inflitto da chi primeggia". Senza entrare nel merito delle tante scuole di pensiero che da millenni si sono occupate di democrazia, una delle questioni chiave sulle quali bisognerebbe soffermarsi più spesso è quella legata alla cronicizzazione del deficit democratico che allontana sempre più i cittadini dalle Istituzioni. La democrazia, come tutti sappiamo, pretende una forte congiunzione tra titolarità ed esercizio del potere da parte, rispettivamente, del popolo e di chi ha ricevuto la legittimità democratica per operare al servizio del bene comune. Comunque la si voglia chiamare (sociale, partecipativa, liberale, rappresentativa, politica), la democrazia consente all'individuo di emanciparsi solo se è "promossa e creduta". Ed è in questo contesto che subentra il ruolo chiave della società civile attraverso la quale è possibile aprire la via al processo di controllabilità e limitazione del potere.
MA CHE COS’È LA SOCIETÀ CIVILE IN CALABRIA? Senza scomodare Rousseau, Hegel, Marx o Gramsci, e rimanendo nel nostro piccolo, l’interpretazione più semplice e concreta è quella di intenderla come capitale sociale e quale fattore propulsivo dei cambiamenti. Perché ciò avvenga occorre che l'insieme dei soggetti che la compongono (organizzazioni non governative, associazioni di categoria, o altri settori organizzati della società) sviluppino quella cultura di rete indispensabile per apprendere e comunicare. Infatti, solo una società civile veramente organizzata, può garantire al singolo cittadino di esprimere, al massimo, la propria forza per far valere i suoi diritti. Le Istituzioni europee, in particolare, il Parlamento e la Commissione, hanno affrontato con continuità questo tema, convinti che la forza dell’Unione, che ha come motto “Uniti nella Diversità”, sta proprio nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di prossimità che sono complementari ai principi di solidarietà e di reciprocità.
ISTITUZIONI REGIONALI SENZA PIU’ CREDIBILITA’. In particolare, la Commissione Europea ha avviato, da qualche anno, un processo mirato a promuovere diversi livelli di consultazione, propedeutici alla produzione normativa ed alla preparazione degli atti di programmazione comunitaria, per verificare il grado consenso da parte dei cittadini europei e l’impatto concreto delle politiche comunitarie nel territorio dell’Unione. Ad esempio, nel Nord Europa il valore delle questioni sociali e le spinte che provengono dal basso sono estremamente elevati e lo scarto tra il potere legittimo ed il potere di fatto è ridotto al massimo. Se diamo uno sguardo all'Italia, si registrano, invece, forti deficit di credibilità tra le istituzioni ed i cittadini e molte conquiste sociali, oltre che economiche e culturali, si sono dovute acquisire a caro prezzo e su forti pressioni dell’opinione pubblica quando essa è riuscita ad organizzarsi.
PERCHÉ QUESTO GROSSO DIVARIO? Perché, a nostro avviso, manca, in molti casi, la volontà di creare una complementarità funzionale tra esigenze dei cittadini ed azione dello Stato. Pertanto, il diritto costituzionale che ha ogni persona di associarsi liberamente (art. 18) non riesce ad esprimersi nelle forme migliori; si preferisce la via della denuncia che ha, purtroppo, la grande debolezza di essere un intervento ex post, quando certi guasti si sono già consumati e bisogna ristabilire le regole che sono state infrante. Se scendiamo a livello della nostra regione, le cose si complicano in maniera più marcata, in quanto, da noi, la classe dirigente ha una forte propensione ad appropriarsi del potere legale per poi allontanarsi dai bisogni reali della collettività, generando insicurezza e diffidenza tra i cittadini. In Calabria, a nostro parere, si è cronicizzato un cattivo modo di governare che ha generato, tra l'altro, clientelismo, bassa qualità della vita, alto livello di povertà, disoccupazione, massiccia emigrazione giovanile, lavoro irregolare, evasione fiscale, intreccio tra politica ed affari e rafforzamento della criminalità organizzata.
CALABRIA ATTENDISTA E RASSEGNATA. Un contesto nel quale i cittadini sono completamente disorientati ed incapaci di dare forza ad una società civile in grado di diventare "soggetto politico" a base della democrazia sociale e di svolgere a pieno il suo ruolo di motore della democrazia partecipativa. Oggi, registriamo in Calabria una società attendista e rassegnata, composta sia da tanti cittadini refrattari agli stimoli o mutamenti che provengono dall'esterno, sia da persone che privilegiano l'immobilismo ed il parassitismo, per mantenere i loro piccoli e, in alcuni casi, squallidi privilegi di casta. Naturalmente, esistono anche piccole oasi di dinamismo spontaneo e "solisti" pieni di creatività e volontà di cambiamento, ma questa loro resilienza viene frenata da un contesto senza rete, all' interno del quale risulta molto difficile creare percorsi di rottura e/o di cambiamento.
I CALABRESI E LA LORO CARATTERE FEUDALE. Noi calabresi abbiamo una grossa difficoltà a costruire una società guidata da uno spirito egualitario, in quanto non riusciamo a scrollarci di dosso il passato feudale. Eppure, ormai l'evoluzione tecnologica consente l'utilizzo di strumenti in grado di facilitare lo scambio e la libera circolazione delle informazioni tra i cittadini. Oggi, infatti, grazie all'evoluzione della società dell’informazione, si può sia accelerare e massimizzare la trasparenza degli atti, che ampliare notevolmente la conoscenza sull'azione di governo e, quindi, sulle responsabilità dei decisori istituzionali; basta guardare alle esperienze inglesi e canadesi in merito. Sicuramente, tutti noi calabresi saremmo, sicuramente, più soddisfatti se, oltre alle emergenze, gli organi istituzionali della Regione discutessero ed approvassero progetti in grado di costruire un vero ponte tra chi ci governa e la società civile, sviluppando percorsi di consultazione dal basso per migliorare, in primis, il processo decisionale delle politiche pubbliche.