Il Fai, le Fate di Hera e le Firme di Linda

3 agosto 2016, 12:21 Il Fatto

Vito Barresi | CN24


L’ufficio di Linda è aperto ogni mattina almeno fino a mezzogiorno. Una finestra al basso che fa sportello poche ore ma intense. Uno spazio all'angolo che sta all’ingresso del piccolo teatro d’estate dove tutti i frutti della campagna fanno bella mostra del proprio gusto e dei propri colori a pennellate mediterranee. Linda si siede lì, prende posto e mette in vista le schede del Fai dove si firma per la bellezza di un luogo che non è poi uguale a quella delle sfilate per Miss Italia anche se è leggendariamente giunonica. E legge tranquilla il suo giornale che porta le notizie da Roma, con quel suo titolo ufficiale di testata vintage nata da un giornalismo stile anni Settanta. Fai o non fai la cultura per Linda è sempre una sedia scomoda. Un modo di essere che, prima ancora di una categoria Treccani, è la vita espressa nell’inculturazione dell'identità comunitaria. E per questo come ai Tempi Nuovi di Com, quando ci voleva il coraggio della ribellione per mettersi a San Paolo Fuori le Mura, inculturazione (che non la stessa cosa della triade strumentale 'cultura-sviluppo-affari') significa una responsabilità che ritrova il suo autentico motivo soltanto in piazza. Per cui non aspettatevi uffici residenziali, tipo quelli da assessore alla cultura, oppure odissee mai lette né recitate ma strombazzate per scambio elettorale. Né tanto meno si potrebbe paragonare il suo curriculum di militanza civile, religiosa, culturale con quello di altri che vanno e vengono da Roma, in eterna vacanza ministeriale. Con Linda Monte le cose non stanno mai dove pensi di averle lasciate il giorno prima. Non perché cambi idea. Anzi, le sue sono salde di radici popolari, crotonesi, sapienziali e colte fin dall’infanzia. Ma perché in fondo l’opinione che manifesta è europea, persino britannica, alla Gissing, alla Douglas. In sintonia coi grandi narratori e viaggiatori di una favola antica che a Crotone, anche quando tutto intorno è degradato e abbandonato, sapevano di trovare nella perenne forza dell’eternità.



La sua idea di militanza civica l’ha resa un vero personaggio della vita cittadina. Solo apparentemente minimale e ininfluente rispetto ad altri. Potrebbe essere che la sua convinzione sia quella di credere in un bene collettivo. Un patrimonio comune crotonese che non ha museo se non all'aperto, oggi si dice open una volta agorà, e quindi nella libera fruizione di un dono per tutti. In ogni caso le iniziative d’inculturazione che lei ha svolto nel centro storico, nella vita religiosa e comunitaria, nella riconquista dell’identità femminile, sono sempre state 'open space' artigianali mai un salottino finto borghese. Come la pietra di fiume in Piazza Castello, svanita sotto le ristrutturazione di ditte assessorate al cemento armato, il suo sogno progettuale è un percorso giornaliero in mezzo a un demanio fruibile senza biglietto, un uso civico della cultura materiale e spirituale. Una specie di vagone di un treno lunghissimo che sta sui binari della storia locale, un piccolo teatro del sud dove le cerimonie e le manifestazioni sono sempre in cartellone, un film proiettato sotto le stelle, un trekking urbano tra il dedalo della memoria materiale, un social media tra la gente che a volte si slarga altre invece si ferma in un vicolo cieco dove il silenzio interrompe la conversazione di passo e si chiude d’improvviso.

Linda Monte non ha mai vinto un premio in nessuna manifestazione del regime culturale indigeno. Il suo copione è combattere costantemente per il solo premio che potrebbe riguardarla, un premio che non c’è, quello della militanza schietta e della testimonianza senza interessi. Linda è la vera leader locale dei luoghi del cuore, cioè dei posti civici che sono monumenti di comunità, crocevia di sentimenti ritrovati che non amano stare in poltrona.

Qualche decennio addietro fui promotore di una campagna per raccogliere 10 mila firme per salvare la colonna di Capocolonna. Aderirono 11 mila cittadini crotonesi, ci sono ancora tutti i dettagli in una ampia rassegna stampa, ai tempi del sindaco del Gladio. Fu una partecipazione emozionante, commovente. Poi inviai le firme a mie spese a un ministro della cultura che mi pare si chiamasse Veltroni, un politico nazionale e carrierista romano di successo. Non ricevetti nemmeno la ricevuta di ritorno e non me ne adontai. Anzi un bel pomeriggio ebbi il miracolo della Madonna.

Così vidi la conclusione del restauro della Colonna effettuato da due competentissime 'archeologhesse'. Mi bastava. Era proprio il momento magico interpretato dalle sacerdotesse del recupero nell’ora blu, al calare del tramonto l'incantesimo si avverò. Le due prometeiche cosmonaute, in viaggio su una navicella antica e futurissima, icona dei miti d'oggi e delle leggende antiche della Magna Grecia, interamente coperte da un velo bianco svolazzante, incapsulate e abbigliate con una tutina sintetica di protezione, salivano e scendevano euforiche ed elettrizzate dall’impalcatura di lavoro. La Colonna, grazie a malte, additivi chimici e altri marchingegni polimaterici innovativi e di altissima tecnologia del restauro, era tornata alla parvenza nativa del suo colore originario.

Le due fate di Hera, le giovanissime archeologhe che avevano fatto rinascere ad antica luce lo splendore della Colonna, sono un fotogramma memorabile custodito nel mio diario personale. Quasi l'incipit di una sceneggiatura. Grazie Linda, nonostante tutti i nostri bravi ministri, di ieri, oggi e domani, la Colonna con le nostre firme è ancora là nella sua orgogliosa solitudine. Un punto fermo sull’idea geometrica e curva dell’umanità. Che dire altrimenti se siamo stati così, più che ampiamente, ripagati?