ALBERTO DIASPRO. iCub il robot umanoide che ha già imparato a parlare genovese

Patrizia Muzzi

Cambio Quotidiano Social

Intervista

ALBERTO DIASPRO

Direttore Dipartimento Nanofisica Istituto Italiano Tecnologia Genova


Se penso alla parola ‘robot’ mi suona vecchia, mi immagino subito C-3PO di Guerre Stellari oppure penso al mio robot pulitore di pavimenti. Citando il vocabolario Treccani: dal cèco Robot ‹ròbot›, nome proprio, der. a sua volta di robota «lavoro», con cui lo scrittore cèco Karel Čapek denominava gli automi che lavorano al posto degli operai nel suo dramma fantascientifico R.U.R. Del 1920. Perché nacquero i robot? Per sostituire l’uomo nei lavori ripetitivi e pesanti o pericolosi. Apparati meccanici ed elettronici dipendenti da chi li ha creati, oggetti dotati di una forma d’intelligenza ma privi di coscienza. Scrittori, filosofi e più recentemente registi discutono di questo argomento dalla loro comparsa (in realtà il primo robot noto è la macchina di Erone II sec DC). È notizia di qualche giorno fa che Roderich Gross dell’Università di Sheffield ha dimostrato che le macchine sono in grado di imparare semplicemente osservando, senza ricevere istruzioni dirette (più efficienti dei fidanzati, mi verrebbe da dire…). Nel frattempo nei laboratori del Centro Piaggio dell'Università di Pisa, il gruppo coordinato da Danilo de Rossi ha creato un robot in grado di esprimere innumerevoli espressioni facciali: questo implica la sua capacità di emozionarsi se ci mettessimo a fissarlo? O si vuole dimostrare che anche i robot provino dei sentimenti? O ancora, dovremmo aspettarci in un prossimo futuro di instaurare rapporti empatici con questi androidi? Partendo da queste mie astruse considerazioni ho deciso di interpellare il direttore del Dipartimento di Nanofisica dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, Alberto Diaspro. Se vi state immaginando di avere a che fare con tipo dai capelli arruffati e sempre con la mente a vagare tra le nuvole fate bene: non solo è considerato un grande ricercatore dai colleghi, ma è anche molto amato dai suoi studenti e dottorandi (evento abbastanza raro). Se state pensando di gettarvi nell’ambito della ricerca scientifica vi consiglio di fare un salto da lui.


La prima domanda “fondamentale” che ti faccio è: usi ancora i sandali tedeschi anche in inverno?

Tra Aprile e Novembre amo sempre portare i sandali anche se a volte le circostanze non lo permetterebbero.

Perché sono tornati così alla ribalta i robot?

Segno dei tempi. Gli umani – avrei voluto dire quelli benestanti ma a ben vedere non è esattamente così – tendono a far fare ad altri cose ripetitive o che considerano di basso livello. Un esempio dei nostri tempi sono le badanti o i badanti e in alcuni casi le nonne e i nonni. Più che “tornati alla ribalta” i robot hanno sempre destato interesse. Oggi lo sviluppo di tecnologie estremamente avanzate fa aumentare il desiderio di avere un “Pinocchio” tutto per sé.

Quali caratteristiche ha iCub il robot umanoide che avete ideato nel vostro istituto?

Si tratta di un robot cognitivo: si avvale dell’apprendimento e del dato che al momento ha a disposizione (qualcuno lo tocca o lo interpella) per decidere il da farsi. Tipicamente si tratta di un modo di ragionare “geometrico” che sfrutta la conoscenza di dimensione e funzioni di certi oggetti per fare si che iCub si possa muovere e agire in maniera semplice. Si tratta di un robot bambino che accumula esperienza e tecnologie per crescere. Inoltre produce empatia: condizione interessante per “andare a braccetto” con gli umani. Il robot può migliorare la qualità della vita degli umani facendo per loro i lavori più rischiosi: dallo sminamento alla decontaminazione di terreni, ad esempio.

Fino a quale grado di similitudine con l’uomo ci si potrà spingere con macchine del genere?

Mi chiedono se ha un’anima – no -, se si riconosce allo specchio – no -, o se si innamora – no, ma può fingere di essere innamorato! Insomma quando sei seduta davanti al televisore il video non ti guarda! Il robot è una macchina che l’uomo potrà spingere ad essere a propria immagine e somiglianza ma che non lo potrà sostituire al 100%. Può essere un buon nonno o un buon compagno di giochi.

So che soffri un po’ a sentir parlare solo di umanoidi e quindi vorrei che ci raccontassi di che cosa si occupa il vostro gruppo di ricerca nello specifico.

No in realtà non soffro, da ragazzo volevo costruire Robot ultraleggeri … Comunque il mio gruppo si occupa di piccolo e ultrapiccolo. Progettiamo e costruiamo nuovi microscopi cercando di scoprire o sfruttare al meglio meccanismi di interazione o relazione tra la luce e la materia. Oggi possiamo vedere singole molecole, singole proteine muoversi nel vivente sano o malato e offrire una nuova finestra da dove osservare quelle incredibili nanomacchine che sono le cellule biologiche quando evolvono in modo normale o malato. Da quella finestra si possono fare diagnosi e capire l’effetto di farmaci a livello molecolare. Il dettaglio spaziale e temporale che raggiungiamo è alla nanoscala. I temi che più mi appassionano oggi riguardano il neuroblastoma e la comprensione dei meccanismi farmacologici che lo possono sconfiggere (in particolare trattamenti a base di aloemodina), i meccanismi di replicazione e trascrizione e la loro possibile interferenza in relazione all’organizzazione di alti ordini di struttura della cromatina e della loro possibile relazione con il complesso del poro nucleare. Tecnologicamente parlando sono proiettato verso la definizione di strategie “label free” per ottenere informazioni ultrastrutturali. La fluorescenza ci ha fatto saltare il fossato della diffrazione e i metodi “label free” ci permetteranno di portare nuova luce sui meccanismi di funzionamento biologico. Questo ci divertiamo a fare.

Immagina che ci stiano leggendo ragazzi appassionati di materie scientifiche o laureandi in dubbio sul proprio futuro, potresti raccontare loro che possibilità offre l’IIT di Genova?

L’IIT offre un reale ambiente multidisciplinare e multiculturale: tutte le discipline e scienziate e scienziati di 50 Paesi differenti sotto lo stesso tetto a esercitare ricerca di base e applicata. In IIT si viene facilmente a contatto con i massimi esperti del settore: dai Premi Nobel agli autori di quel lavoro che hai letto e riletto. Hanno inoltre la possibilità di interagire con me, non è poco vista la mia modestia!

Quali caratteristiche deve avere secondo te un bravo scienziato?

Recentemente Alberto Mantovani ha suggerito un decalogo per lo scienziato partendo dal fatto che “se vuoi diventare uno scienziato devi sempre rispettare i dati. Profondamente. Ed esaminarli in modo critico”. Il suo decalogo parla di passione e rispetto, di creatività e di apertura al mondo, di comportamenti umili, di accettare le sfide e i pareri degli altri. Il decalogo ci invita a imparare dai pazienti e dai tecnici e a saper ascoltare. Agli studenti e alle studentesse che mi chiedevano e chiedono un progetto di dottorato chiedo a mia volta se pensano di avere “la malattia”. Malattia per la ricerca, non la ricerca come impiego ma come missione universale.

Quando senti parlare male della Ricerca in Italia cosa pensi? Sincero…

Penso che, per l’incapacità di diverse “figure”, molte tra le poche – in realtà non così poche – risorse che il Paese mette a disposizione per la Ricerca vanno sprecate. Eliminerei il valore legale del titolo di studio e i raggruppamenti disciplinari. Non credo alla “fuga di cervelli” anche se alcuni canali di reclutamento sono “avariati”.

Facciamo un viaggio nel futuro prossimo: ci sono in cantiere progetti che rivoluzioneranno il nostro modo di vivere? Quale contributo potrà offrire un centro di ricerca come l’IIT?

Si potrebbe discutere per ore su questi aspetti. L’IIT alla ricerca può offrire un vento forte di innovazione multidisciplinare nella salvaguardia della imprescindibile ricerca di base “curiosity driven” e nella focalizzazione a importanti questioni applicative centrate sull’uomo. La raccolta, l’elaborazione e l’analisi “smart” delle grandissime moli di dati che siamo in grado di raccogliere sono la chiave del presente “futuro”. Chiamali BIG DATA ma pensa di mettere a raccolta dati sull’alimentazione, sulle abitudini culturali e sportive etc… e i dati molecolari.

Pensa di poter utilizzare quell’80% di dati che riguardano la salute e che risultano invisibili per “non strutturati” come ci ricordano i ricercatori IBM del progetto Watson Health.

Permettimi di citare Antonio Gramsci per una prospettiva rivoluzionaria: “Ciò che interessa la scienza è … l’uomo che elabora i suoi metodi di ricerca, che rettifica continuamente i suoi strumenti materiali che rafforzano gli organi sensori e gli strumenti logici (incluse le matematiche) di discriminazione e di accertamento, cioè la cultura, cioè la concezione del mondo, cioè il rapporto tra l’uomo e la realtà con la mediazione della tecnologia” (Gramsci, Q11 par.37)

Giochiamo: da questo momento puoi chiuderti nel tuo laboratorio e fare ciò che vuoi. Quale invenzione ti piacerebbe sviluppare? Anche la più sciocca.

Un sistema per il teletrasporto.

Tre letture per appassionati di Scienza.

I ragazzi di via Paal perché si impara la lealtà e l’inizio con la luce verde e azzurrognola della lampada Bunsen non può lasciare indifferente. Il piacere di scoprire di Richard Feynman, tipi di Adelphi. Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galilei.