Il racconto di Natale di Theodora Braun | di ELLI FISCHER | Prima Puntata


In un baule di legno nascosto nella mia soffitta, ho ritrovato un diario che
apparteneva ad una vecchia inquilina del palazzo in cui vivo ora.
In quelle pagine ingiallite dal tempo vi è scritta una storia che mi è sembrata così speciale da decidere di raccontarvela.


Al quinto piano di un’elegante casa di Propststrasse vivevano la signorina Theodora Braun e i suoi cinque gatti.

La signorina Braun, ormai molto anziana, passava il suo tempo a leggere comodamente seduta su una poltrona davanti alla finestra della sala. Distoglieva il suo sguardo dalle letture solo per osservare le ultime foglie ingiallite ricoprire i viali cittadini o per accarezzare Klein, la gattina più affezionata che si accovacciava sempre sulle sue ginocchia.

Theodora aveva capelli color argento che raccoglieva sull’esile nuca con una spilla di gemme azzurre. Le sue mani bianche e sottili erano segnate da piccole macchioline marroni, la pelle del suo viso somigliava alla buccia di una pesca disidratata, i suoi occhi erano dello stesso colore del ghiaccio artico e lasciavano trapelare la serenità tipica di chi sente che nella vita ha fatto davvero tutto quello che avrebbe voluto.

Il freddo inverno era ormai alle porte.

I commercianti erano tutti indaffarati ad addobbare le vetrine dei loro negozi e come ogni anno il signore delle caldarroste si era ricavato uno spazio vicino al lampione all’incrocio con Heinrichstrasse. Insieme a lui, sdraiato su una cuccia improvvisata fatta di stracci, riposava vigile il fedele Zoran, un vecchio pastore fonnese dal pelo lungo e grigio. Ciuffi di pelo più chiari gli formavano sul muso barba e baffi simili a quelli di un mandarino cinese.

L’avvento del Natale era un momento speciale per Theodora: in quei giorni, infatti, quando tutto si ricopriva di candida neve e un magico silenzio avvolgeva la città, si ricordava del suo passato e di quando, ancora bimbetta, sognava di fare l’acrobata. Ne aveva visto uno oscillare su un palo alto almeno venti metri sostenendosi con le sole mani. Le rimase talmente impresso nella mente che a scuola lo disegnò uguale uguale. Il talento che dimostrò nel riprodurre la faccia rossa e gonfia del circense a testa in giù colpì così tanto anche l’immaginazione dell’insegnante che le diede un bel dieci.

Come lo so?

Tra le pagine del diario ha conservato quel disegno. E sul retro, scritto a matita, era ancora ben visibile il voto.

Nella vita si cambia spesso idea, soprattutto quando si è piccoli. Così fu per Theodora che a un tratto decise di fare altro, cioè prendersi cura di tutte le bestiole abbandonate. Intuì di avere una grande passione per gli animali il giorno in cui adottò il suo primo randagio: era un cane di piccola taglia, magro e sporco. Si era avvicinato mentre rientrava a casa da scuola. L’aveva seguita fin sotto il portone e ogni volta che si era girata lungo il tragitto per osservarlo lui l’aveva guardata con l’aria di chi cerca aiuto. Sapeva che i genitori non le avrebbero lasciato portare in casa un cane così sporco, decise quindi di nasconderlo in cantina. Lo lavò. Lo pettinò. Gli diede tutto quello che riuscì a rapinare dalla dispensa della cucina e attese che fosse pronto e presentabile. Lo chiamò Lockig. Lockig la chiamò Sonne ma questo lei non lo seppe mai.

Nei primi tempi i genitori di Theodora non furono contenti di avere quella palletta di pelo arruffato in giro per la casa, ma Lockig si dimostrò affettuoso con tutti i membri della famiglia e diventò amico inseparabile della sua Sonne.

Dopo avere terminato gli studi, Theodora pensò di aprire una sorta di ricovero per animali. Figurarsi! Una donna che si occupa di randagi: che follia! A quell’epoca non erano considerati come li consideriamo noi oggi. Erano cose. Cose utili ad alleviare la solitudine. Cose utili a ridurre la fatica. Cose utili a nutrirci. Cose da appendere nelle sale da pranzo o ai colli dei cappotti. Cose da usare come composti chimici per pozioni magiche. Cose. Non si pensava che potessero soffrire come noi, men che meno divertirsi come noi. Theodora trovò un casolare appena fuori città e lo ristrutturò alla meno peggio. Si fece insegnare i primi rudimenti di pronto soccorso da un amico medico e subito quel luogo si riempì di bestiole di tutti i tipi. In gioventù non le erano di certo mancati dei pretendenti, che però scappavano tutti a gambe levate ogni qualvolta scoprivano che l’oggetto del loro amore si rivelava più interessato a rincorrere cani malati, a spurgare fognature intasate da nidiate di gattini affamati e ad infilarsi giù dai caminetti per scongiurare che alcune specie di rapaci finissero arrosto.

Hilarius Koch era l’unico che in gioventù aveva assecondato lo spirito rivoluzionario di Theodora. Era rimasto così tanto amico della signorina Braun che possedeva perfino le sue chiavi di casa e passava spesso a trovarla in Propststrasse. Quando armeggiava con quel mazzo per aprire la porta di ingresso, i gatti balzavano dal davanzale, dalle mensole e dal divano pronti a strusciarsi contro i suoi pantaloni.

“È quasi spenta.” disse il signor Koch aggiungendo un po’ di legna nella stufa di ceramica.

“Avrei dovuto accorgermene. Schlafmütze si è spostato sulla sedia.” rispose sorridendo la signorina Braun. Schlafmütze era il gatto più grande tra i cinque ed era anche quello d’indole più pacifica.

Il signor Koch sembrava preoccupato che la sua amica potesse ammalarsi nuovamente di polmonite e con l’avvicinarsi del grande freddo aveva deciso di intensificare le sue visite per tenerla d’occhio. Maus, Klein, Luchs, Schlafmütze e Fleck erano tutti in attesa che il signor Koch aprisse la busta di carta con gli scarti del macellaio e che Theodora servisse loro il pranzo nelle ciotole. Quella famiglia di gatti si voleva davvero bene! Fleck aveva un musetto buffissimo. Le piaceva giocare con i gomitoli di lana quando la signorina Braun intrecciava sciarpe per il signor Koch, mentre Luchs non dormiva mai: stava sul davanzale a osservare ciò che accadeva in strada. Con la testa seguiva le carrozze che sparivano dietro l’angolo, controllava l’apertura e la chiusura dei negozi, spalancava gli occhi quando lo strillone lanciava i giornali all’ingresso delle abitazioni, batteva energeticamente le zampe sul vetro quando la sera il lampionaio passava ad illuminare il corso.

Suo padre Maus, il vecchio gatto di casa, non appena la vedeva agitarsi, le dava una leccatina sulla testa per quietarla. Fu proprio in uno dei giorni in cui il signor Koch fece visita alla signorina Braun che accadde l’imprevedibile…continua


Ringraziamenti per la foto del topino a
Johana Molina
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