IL RACCONTO DI NATALE DI THEODORA BRAUN di ELLI FISCHER \ 4


CAP 4


Dalla stanza da letto della signorina Braun si poteva percepire lieve il suono del coro del reverendo Gregor. Erano settimane che si stava preparando per la Vigilia. Il reverendo pretendeva che tutto fosse perfetto come sempre, in modo che le signore più abbienti non avessero nulla da recriminare. Quello era uno dei giorni dell’anno in cui vi erano più donazioni da parte dei fedeli attirati dalle sue pungenti prediche, dalla voluttà del coro di voci bianche e dalla rinnovata natività che permetteva di alleggerire la pesantezza dell’animo.


Il dottore e il signor Koch avevano ben altro cui pensare: la signorina Braun non dava segni di miglioramento e sembrava essere imprigionata in una specie di coma febbricitante.

Anche Luchs era stata colta dal senso del rimorso. Il signor Koch vedendola molto mogia la prese tra le braccia per coccolarla e lei iniziò a fare le fusa.

«Piccola Luchs, non stare male. Vedrai che la tua padrona guarirà presto!» disse con un’espressione poco convincente.

Il gelo mattutino aveva creato delle sottili lastre di ghiaccio lungo la via e Maske ne approfittò per scivolare più spedito verso la sua meta sfruttando le morbide callosità delle zampe come fossero pattini.

In un quartiere a sud della città viveva una variopinta e multietnica comunità di topi da cui discendeva Maske. Anche se lui non aveva mai conosciuto i propri genitori e fratelli, ogni qual volta si addentrava in quei vicoli percepiva qualcosa di familiare. Senza sapere perché, trovava istintivamente il pertugio più comodo, i gradini più facili da saltare, i locali più caldi e i percorsi più brevi.

Questa volta non era capitato lì per caso, sapeva chi e cosa stava cercando: il topo Alchimista. Ne aveva sentito parlare da due vecchi topetti in una bettola qualche anno prima e poi da tre topoline che racimolavano cibo al mercato e ancora da un gruppo di topolini che giocavano nel parco: quella del topo Alchimista forse non era solo una leggenda, poteva essere qualcosa di più.

All’angolo con Knaacstrasse, Maske chiese informazioni ad una talpa che leggeva il giornale.

«Lei cerca qualcuno che si mostra a pochi.» gli rispose.

«Questo è un caso serio. Avrei tanto bisogno di trovarlo.»

La talpa lo guardò da sopra la montatura degli occhiali e senza aggiungere parole girò il capo e fece un cenno per indicare la via. Maske lo ringraziò e si mise a saltellare verso quella direzione.

C’era un grande via vai di esseri umani, mancava davvero poco al Natale. Le domestiche ordinavano ai commercianti gli ingredienti per preparare gli opulenti cenoni natalizi per i propri padroni di casa.

Maske riuscì a schivare con destrezza tutti quei piedi frettolosi evitando che gli umani emettessero urla di disgusto. Sentì di essere arrivato nel posto giusto quando vide un vicolo chiuso tra due vecchie palazzine fatiscenti davanti a sé. Fino a venti centimetri dal suolo i muri dei palazzi erano stati coperti da disegni di ogni genere: c’era chi aveva disegnato formaggi giganti, chi prati soleggiati pieni di margherite, chi topoline in abiti discinti e chi uno strano topo con in testa una corona di alloro, altri ancora avevano deciso di sbeffeggiare gli uomini e i gatti raffigurandoli inseguiti dai topi. Era già stato lì ma non sapeva proprio dire quando e perché. La presenza di alcune cassette da frutta abbandonate rendeva poco visibile un pertugio ad arco accanto al quale si trovava una candela ormai consumata. Da quel passaggio, Maske vide uscire una giovane topolina con uno sguardo colmo di speranza.

«Mi scusi,» le domandò «è qui che abita il topo Alchimista?»

La topolina nel sentirsi rivolgere quella domanda corse via in tutta fretta.

Maske si convinse di avere fatto centro.

Forzò con una spalla il portoncino ed entrò. Una scala stretta e ripida conduceva verso il basso. Uno strano odore proveniva dal buio di quella galleria rischiarata da repentini bagliori di luce verde, così pungente da costringere Maske a coprirsi il muso con un fazzolettino estratto dal suo zainetto.

« Posso entrare?» domandò Maske «Sto cercando il topo Alchimista, ho bisogno del suo aiuto!»

Si udì l’eco della sua voce ma nessuna risposta. Man mano che s’avvicinava alla fine di quelle scale, il bagliore e la puzza s’intensificarono.

In fondo alla galleria vide un canale di scolo che lo separava da un altro portone illuminato da una piccola torcia accesa. Uno strano mezzo di locomozione, simile a una bicicletta, era parcheggiato fuori dal portone. Maske si fece coraggio, saltò l’ostacolo e varcò quella porta.

Nel centro di una stanza ovale si trovava una scrivania ricoperta di boccette di vetro colorate e strani aggeggi che assomigliavano a portafortuna indiani. Tutta la parete era tappezzata di libri. Qua e là una lanterna illuminava la stanza umida e puzzolente. Dal soffitto penzolava un piccolo pipistrello e un attimo prima che il topo parlasse, una caccola piovve dall’alto sul tavolo.

«Buongiorno.» disse una voce roca «o buonasera, chi lo sa…»

«È mattina.»

«Oh, sì certo. Per me comunque non ha molta importanza» disse l’Alchimista.

Era un vecchio topo dall’aspetto inusuale: i peli bianchi che ricoprivano il suo cranio erano più lunghi degli altri. Indossava degli occhiali di metallo rotondi ma senza lenti e portava una camicia colorata come l’arcobaleno, un abbigliamento che Maske non aveva mai visto prima.

«Lei chi è?»

«Mi chiamo Maske, ho bisogno di aiuto.»

«Tutti abbiamo bisogno di aiuto» squittì mostrando i denti gialli.

«La mia amica Luchs, una gattina affettuosa, passerà un pessimo Natale se non intervengo subito.»

«Tutti passiamo pessimi natali.»

Maske alzò gli occhi al cielo.

«Ricordo ancora quando nacqui, eravamo in dodici. Tutte quelle zampette sulla mia testa mentre tentavo di succhiare latte da mia madre, tzè! Bella roba i natali!» disse l’Alchimista.

Maske iniziava a temere di essersi sbagliato.

«Cosa cerchi da me, Maske?»

Il piccolo roditore raccontò a quel tipo un po’ ottuso tutto quello che era accaduto alla sua amica Luchs, della loro amicizia e della signora Theodora.

«Theodora hai detto?»

«Sì, Theodora Braun. Credo proprio si chiami così.» rispose sconsolato.

L’Alchimista stralunò gli occhi.

Corse su per una scaletta di legno, si aggrappò con le due zampe anteriori ad un trave che usò per prendere slancio e tuffarsi su un altro ripiano della antica libreria, da cui estrasse un polveroso volume rilegato in velluto verde smeraldo.

Miracoli impossibili

(da usare una sola volta esclusivamente per salvare vite umane)

«Dunque, dunque, dunque…» disse l’Alchimista scorrendo l’indice del libro.

«Umano, anziano, femmina, polmoni, brividi, febbre, stato comatoso…»

Maske ascoltava con apprensione ogni singola parola.

«Vedi ricetta pagina 579…»

«Eccola qua! Ingredienti: curcuma, zenzero, aglio, biscotti secchi, pigna di pino marittimo… cribbio, questa sarà difficile da reperire… sterco di mucca Carolina, albume montato a neve, neve montata con sciroppo alla menta, mumble mumble… gatto di pesce baffo… ehm… pesce di gatto baffo… UFFA!… BAFFO DI PESCE GATTO! Oh, finalmente… cuore di panna e tartaro, acqua, sale fino q.b. Al termine pronunciare la formula magica di rito.»

Il topo Alchimista appariva spossato ma convinto delle proprie azioni. Si rimboccò le maniche, si legò i capelli e prese dal cassetto un cucchiaio di alluminio che appoggiò sul tavolino, accanto ad una pentola. Aveva memorizzato tutti gli ingredienti e si era messo a correre come un pazzo in ogni angolo della stanza aprendo barattoli dalle forme e dai colori più diversi, prelevando maleodoranti sostanze chimiche. «Puach! Quante ragnatele!» borbottò mentre tentava di liberarsi da quei fili argentei.

Terminato il gran girovagare iniziò a mescolare tutto quel brodo puzzolente con grande cura. Chiuse gli occhi e Maske lo imitò. Inspirò aria a pieni polmoni gridando a squarciagola la frase che avrebbe dovuto trasformare i vari composti in una vera pozione magica.


«Epilifili pepilifili!»

Maske aprì un occhio per sbirciare e vide un grande fumo innalzarsi verso il centro della stanza.

Ci fu un attimo di silenzio: il topo Alchimista prese il cucchiaio di alluminio, un imbuto e riempì una piccola ampolla di vetro che appese al collo dell’esterrefatto topolino.

«Devi portarla subito alla signorina Theodora affinché la beva. Presto!»

Maske lo ringraziò tantissimo. Non riusciva più a contenere la propria gioia.

«Mi dovresti un sacco d’oro, sai?! Vai ora, fai in fretta: l’effetto del farmaco si ridurrà in poco tempo.»

Maske eseguì l’ordine e scappò di corsa fuori dalla stanza, salì le scale e chiuse la porticina dietro di sé. Guardò il cielo terso e si sentì rinato.

«È fatta!» gridò «Sono il topolino più felice sulla terra!»

In quel momento, un bastone di legno lo colpì sulla testa e cadde al suolo sanguinante. Tre rattacci dei bassifondi lo avevano pedinato per derubarlo. Maske sentì le forze mancare e svenne, mentre quegli schifosi energumeni scapparono via senza farsi vedere da nessuno.

contnua