Vito Barresi | Trasferta Libera
Alla fine del girone d'andata della Serie A, cerchereste invano i grattacieli 'immaginari' che i 'Vrenna Brothers' intendevano costruire sull’argilla dello Jonio, in quella che un tempo fu l’antica metropoli della Magna Grecia, la Kroton con il sigillo acheo segnato sul collo dei gladiatori calcistici. Perché nel macht del gran ritorno d’inizio d’anno, sul prato sempre verde dell’Olimpico romano, di fronte alla Lazio, altro non fanno che franare catastroficamente, a calanco, dopo aver piantato i piedi e i tacchetti saldamente nelle proprie terre di difesa. Illogica la strategia dei Vrenna? Forse si, forse no. Comunque, troppo tardi, dopo aver perso tante partite e aver subito batoste eclatanti che non hanno, benché minimamente, risvegliato il senso critico ma soprattutto il senso della misura. Nicola, reduce dalle festività alla Satyricon, farebbe anche bene rileggere Petronio Arbitro, che non fischiava a vanvera sui propri testi, per annotare qualche regola aurea che magari, nella seconda parte dello spettacolo davanti ai gladiatori della Lazio, avrebbe potuto aiutarlo a uscire dal tunnel almeno con un pari.
Niente, ma di niente, solo un arroccamento alquanto ‘confuso’ e infine improduttivo, un fitto incrociarsi abbastanza irrazionale, per non portare botte a casa, al fine di cavarsela anche abbastanza fortunosamente, visto il si narra, solo durante un primo tempo alquanto sonnolento, che si risveglia in partita, occasionalmente, non di rado ma ogni tanto, dal gelido torpore romanesco.
Squarci non improvvisi ma alquanto telefonati che permettono, ironia della canzonetta, di pensare nel frattempo a Mina che canta Parolo, Parolo, Parolo, il Rolex d’attacco dei bianco celesti che non va via col tempo, sbagliando con precisione anche in area Bellinzona.
E con lui pure ‘ei fu siccome’ Immobile, il Ciro che intreccia la palla e l’annoda a fil di palo, aspettando di scomodare il taccuino rimasto intonso nel taschino dei giudici di gara, prima avvisandoli, oltre la linea dell’ottantesimo, quando assesta una sberla sui guanti di Festa che ancora bruciano come un piccante peperoncino, poi col colpo in canna e la pistola fumante, quando con un solo proiettile stende al tappeto la velleità difensivista di Mister Nicola, raffreddando sogni e percorsi del Gran Raffaele della società rossoblu.
Restano scampoli di una partita dove ancora una volta i campioni di prima levatura, la Lazio quarta in classifica, non tracciano certo un pomerio di differenza e una linea di netta distanza con i crotoniati.
Questa Serie A che stiamo vedendo è molto, ma molto in differita, molto ma molto al di sotto delle mitologie dei grandi campioni gonfiati come estrogeni solo nei resoconti dei giornali, dei direttori delle tv a pagamento, e dei giornalisti paggetti alla corte del magna-magna pallonistico.
Certo che per il Crotone si è vista fin qui, sì la squadra volenterosa, ma anche e soprattutto la completa assenza di un governo della situazione. O qualcuno o qualcosa sembra che non sia all'altezza. Eppure ci si aspettava alta professionalità da chi ha sempre predicato che Crotone è la terra dei nani. O no? Stupisce, infatti, che la compagine in campo, sia lasciata praticamente alla solitaria 'autogestione' di Nicola e dei suoi fedeli atleti.
Quasi una strategia protesa a sottrarsi dalle responsabilità di un’indecorosa disfatta, una figuraccia nazionale che non fa piacere ai tifosi e che certo, almeno finora, sembra non far affatto ribollire il sangue alle silenti, disfatte e demoralizzate truppe degli Ultras.
Solo chi gioca sul tappeto raso del bigliardo come un elegante Lucas Biglia può cedere alla tentazione dell’errore, vinto da Festa e convinto da una netta traversa inconcludente. A lui il grazie per aver dato al Crotone la 'mobile illusione' di quarantacinque minuti di energia sparsi nella gelide manine del portiere crotonese. Che prende ai punti i voti più alti della partita.