Che Guevara, quel medico ribelle che non sognava i cannelloni alla bolognese

Venturino Lazzaro
Cambio Quotidiano Social


Cari amici, buona domenica. Rileggendo un vecchio post domenicale, ho ritrovato un'affermazione antica, riferita a un'epoca lontana, quando da giovane dicevo "non credo in niente, non mi pento di niente". Il tempo ha ridisegnato alcune cose, e pur non avendo ancòra oggi grandi certezze, qualche pentimento è intervenuto, e qualche piccolo rimpianto si è affacciato. Rimpiango, per esempio, di non essere stato qui nel periodo degli studi, quando, ancora giovanissimo, ho lasciato che altri modellassero la città in cui poi sarei vissuto. Rimpiango di non aver detto la mia su cose e decisioni su cui adesso è troppo tardi per poter intervenire.

Mi pare di essere mancato nel momento decisivo, e di essere arrivato, trafelato, a frittata fatta. Ma non è che intanto non facevo nulla. Visto che sulla luna c'erano già stati, Moby Dick era stato scritto, e Pelè era già nato, mi sono iscritto a Medicina. Studiavo, crescevo e sognavo di cambiare il mondo (mentre la mia città imbruttiva), pensavo, correvo, mi preparavo a migliorare il mondo (mentre la mia città appassìva). Volevo diventare un Che Guevara (che era un medico) (ma al suo posto sarei stato più prudente), o un Mahatma Gandhi (ma sarei stato molto più manesco), per poter indicare un modo, una strada, un verso al mondo intero, e adesso rimpiango di non essere rimasto a sorvegliare la strada che prendeva questo posto, e il verso, il modo in cui cresceva. Chissà se è tardi.

Non è più momento per guerriglie (come faceva il Che), ma non è neanche in caso di offrire l'altra guancia. Vale la pena di continuare, con metodo e costanza, a desiderare per questa città quello che volevamo per il mondo intero. Niente di più, niente di meno. Oggi mi accingo a riempire dei cannelloni con una bolognese rigorosamente originale. Vorrei farne una teglia. Ma forse è meglio farne due (non voglio rimpianti). Buon appetito.