Vito Barresi
Cambio Quotidiano Social
In un tempo in cui cantano persino i vescovi questo libro di Mario Luzzatto Fegiz (Troppe zeta nel cognome, Hoepli) ha il suono e la voce roca di un saggio bluesman che racconta per tutti una bella storia di vita e di canzoni. Una riflessione critica, ma soprattutto militante, su quel che è stato lo ‘star-system’ italiano della musica leggera, sullo sfondo di un mondo irruento, sempre a caccia di un motivo di successo, molto spesso cinico, baro e crudele, popolato da attori e attrici irascibili e da comparse e figuranti rissosi e fragili, insomma quella bella gente dell’industria discografica che per quasi mezzo secolo è stata padrona di destini e declini di tanti cantanti, parolieri e musicisti della scena artistica italiana.
Tutti insieme appassionatamente, da quelle parti, almeno una volta, chi più e chi meno, avrebbero voluto incidere un disco, lato A o B non importa, per urlare a Mario Luzzatto Fegiz che il di lui pensiero appena stampato, certificava in prima strofa che era soltanto un pezzo di merda. E qualcuno lo ha pure fatto, oltre che con il microfono o l’intervista, anche sul vinile sebbene poi il punto non è mai stato questo. Anzi, se si fa caso, alla fine persino il più provato dalle sue solenni stroncature, ha dovuto arrendersi e ammettere che solo questa e non altra è stata la dura legge di un giornalista efficace e colto, mai alla stregua di un critico d’accademia, un reporter da tavolino, un cronista gossiparo che propaga in giro qualche salace particolare sui vizi pubblici e le private virtù dei divi del sonoro.
Per dirla con la sua cover story più famigliare MLF ha costruito la sua immensa enciclopedia della musica contemporanea senza mai salire le scale del potere, anzi scendendole, visto che tra la doxa paterna e la coscienza materna, gatto Fegiz, ha sempre parteggiato per la seconda, strutturando il suo stile, la sua lezione di giornalismo pop, alla stregua di un acrobata, un equilibrista ogni sera in pista al Circo delle celebrità, senza mai smarrire né il senso etico della doxa, la forza della propria opinione, né tanto meno la morale religiosa della sua coscienza, la fede che lo lega con gioia e sofferenza alla storia del rock non solo italiano ma mondiale.
Una carriera vissuta all’insegna di queste verità essenziali che ha messo sullo schermo della memoria un numero enorme di incontri, interviste, conversazioni, polemiche, che formano i file di un archivio unico e originale, una biblioteca della musica ribelle, uno zibaldone di nomi, un common book del pop, dove ci trovi dentro la folla solitaria della canzonetta, il dramma e la tragedia di tanti big, la sottile ambiguità delle hit più popolari, tra una Mina e una Ornella, senza dimenticare affetto e simpatia per Loredana e Gianna.
Re anarchico del giornalismo musicale Fegiz continua a essere un affascinante raccontatore di strada che è sempre stato ai piani alti, nelle stanze d’albergo abbastanza confortevoli, di chiara e trasparente fede cattolica, professore di giornalismo, che se qualcuno lo attacca poi lui non nega anzi riporta quanti lo descrivono come un brillante musicofilo fallito, un cretino erudito di gran classe.
Ma poi che ci fa Mario ogni anno a Sanremo, fotoricordo il mare, che sembra il tipo di una canzone di Jannacci? Come un dj mette insieme il pop e il folk, forse assecondando in psicoanalisi il complesso del babbo che un giorno gli predisse il suo cammino con un ‘vai a Folkstone e passati un’estate come fosse una vita’.
Fegiz è quando s’innamora. Incapace dì odiare qualcuno più di tanto. Tuttavia una simpatica canaglia di giornalista, uno stronzo, con la S grande quando si scaglia furente e furibondo contro la vittima di turno. Folli amori, immensa collera, mai domati sulla carta stampata, ma placati ascoltando la musica non nelle cuffie ma a palla, dalle casse stereo in casa con urlo dei vicini o da quelle di un'auto in viaggio verso un nuovo concerto.
Fegiz, insomma, quando lo leggi o lo ascolti, non è mai un’ ouverture ma sempre un preludio. Un implacabile decostruttore di miti della canzonetta e della musica moderna, che ha formato attorno a sé una comunità di fegiziani, critica, creativa, proprio in nome del rimando egizio con la F. Spesso a lui basta un rapido sguardo alla copertina degli ultimi Lp per sentirne energia, carica e sonorità, per scrivere all’altezza della musica.
E lo ricordi ancora, in quegli anni terribili dell’orda d’oro a Milano, da quelle parti delle radio libere, negli studi che avevano il loro profumo del fiore in bocca, a Radio Milano Centrale. In FM, come le sue iniziali, tra i Navigli, una radio a transistor in mano e un gigantesco Nagra… perché per dire certe cose ci vuole orecchio, chi ha perso il ritmo prego andare… e la bobina continua a girare…